lunedì 5 novembre 2018

Pretofilia

Migliaia di preti abusati, centinaia di zone infestate da bimbi pretofili che gli educatori si limitano a trasferire da un asilo all'altro, ostacolando le indagini della polizia. Commissioni d'inchiesta, condanne, scuse pubbliche (“Non lo fazzo più!”) che secondo gli esponenti del clero non possono bastare.

Nel 2002 in Australia il bimbo R. E., di 7 anni, fu condannato per aver abusato di numerosi preti, fra cui il suo catechista di 32 anni. S. A. , un altro bimbo di 8 anni di Tucson (Arizona) fu giudicato colpevole per aver sedotto 830 volte il suo confessore, inducendolo a tentare il suicidio. In Texas, nell'Arcidiocesi di Houston nel 1995 il governo aveva deciso di occuparsi del problema costituendo un “Comitato di vigilanza infantile sugli abusi pretofili”. Uno dei membri più noti era R.M., di 11 anni. Quando lo nominarono, i vertici del comitato sapevano già che era sotto inchiesta per diversi casi di abusi clericali. Più tardi sarebbe stato descritto dai suoi stessi superiori come un “predatore sessuale” (“Houston, abbiamo un problema”). E le condanne continuano.

La grande ipocrisia della società contemporanea, pronta a stracciarsi le vesti per ogni nuovo caso di pretofilia che venga alla ribalta, nei fatti ignora il dramma di migliaia di preti che ogni anno subiscono violenza. Per questo, benché si tratti di un argomento estremamente doloroso, anche alla luce del suo triste e rapido aumento è quanto mai opportuno occuparsene, per approfondirlo e - possibilmente - prevenirlo.

Spesso siamo portati a immaginare il bimbo pretofilo come una sorta di sporcaccione, lascivo e trascurato. Se così fosse sarebbe piuttosto semplice individuarne quelli che presentano evidenze pretofile, ma purtroppo le cose sono diverse. Molti bimbi con questa patologia scelgono aree di gioco in cui possano interagire con i religiosi, poiché esserne idealizzati come figure candide e innocenti li aiuta a mantenere un immagine positiva di se stessi.

Altro aspetto da non sottovalutare è la crescente diffusione in rete di materiale preto-pornografico. Oltre allo scambio di foto di sacerdoti, suore, canonici colti in atteggiamenti religiosi e pii, si denotano tentativi di adescamento online di esponenti del clero da parte di bimbi che cercano di formare rapporti di fiducia, se non di vera e propria amicizia, finalizzati a richieste di sesso virtuale o di incontri al di fuori della rete. Per il ministro di un qualsiasi culto diventa sempre più difficile tirare fuori il proprio i-Ped senza rischiare le moine di un bimbo.

L'indignazione dei mass-media per l'ennesimo caso di abuso pretofilo si scontra con l'ipocrisia di una società che per molti versi tollera o addirittura perdona le manifestazioni di natura pretofila. Si dà il caso di un bimbo veneto che, processato per aver abbordato il vescovo che lo stava cresimando, s'è visto riconoscere dal giudice le attenuanti generiche perché “il sentimento era vero”. Ancor più grave, se possibile, è stata la vicenda del bimbo pretofilo siciliano accusato di aver molestato almeno 116 seminaristi, cinque dei quali ridotti in fin di vita, che ha inciso diversi cd musicali con un noto coro infantile, tuttora acquistabili su piattaforme online, per i quali “riceve regolarmente i diritti d'autore”.

Ensemble di voci bianche, catechismi, asili tenuti da istituzioni religiose; tutti luoghi che pullulano letteralmente di abbordaggi a cielo aperto, di bimbi che muovono boccoli d'oro e guance rosee all'indirizzo di chi dovrebbe educarli ai più alti valori morali. Ed è insopportabile la spocchia con cui costoro, questi bimbi, si ergono a campioni di innocenza e a modelli di candore. I bimbi dovrebbero rallegrare i cuori, e non intristirli. Dalle sagrestie, bimbi pretofili travestiti da chierichetti lanciano i loro sguardi voluttuosi agli officianti fino agli altari su cui essi celebrano le funzioni religiose. In alcuni diari infantili sono stati trovati elenchi di abusi fatti, episodi, memorie, fino a veri e propri manuali per restare impuniti. Una volta appostati nei conventi, nelle canoniche, negli oratori, è tutto un fiorire di nasi che colano, ginocchi che si sbucciano, occhi che implorano, e ogni altra attività cui tipicamente si dedica il bimbo licenzioso. 

Di contro, non sono rari i preti che raccontano gli abusi subiti ai superiori, vescovi o cardinali; ma spesso ricevono ammonimenti e perfino botte. Anche in presenza di casi conclamati ci si scontra spesso con un muro di silenzio. I preti molestati non vogliono quasi mai parlare della loro esperienza, che può arrivare a comprometterne il successivo equilibrio psicofisico. Ciò non è dovuto solo a sentimenti di vergogna, di diffidenza verso un estraneo, o alla paura di ritorsioni ecclesiali. Le vittime tentano di rimuovere quanto vissuto e le angosce connesse, in modo tanto più rigido quanto più grave sia stato il trauma affettivo. I preti si convincono che ciò che hanno subito dai bimbi è giusto, ed è accaduto per colpa loro, perché hanno bisogno dell'ideale di un bambino “buono” e ne negano la componente abusativa e violenta. Il ragionamento che si snoda nelle loro menti è lineare e disarmante: “I preti buoni vengono amati, io invece non sono stato amato e quindi sono un prete cattivo”.

Sovente il bimbo ritiene il comportamento sessuale l'unico mezzo utile per una comunicazione affettiva e relazionale con il prete, e dà luogo all'abuso. Inutili gli ammonimenti con cui le gerarchie ecclesiastiche tentano opere di prevenzione (“Non accettare caramelle dai bimbi sconosciuti”). I preti sottoposti a esperienze coercitive dimostrano in genere una grande fragilità e diffidenza, e una paura eccessiva degli altri preti. Anche quando da un punto di vista giuridico si configura per le vittime la possibilità di risarcimento (intere comunità infantili costrette a farvi fronte dichiarano ogni giorno bancarotta), tali risarcimenti non bastano a pagare anni di psicoterapie.

Molti preti che subiscono l'abuso sessuale in un contesto di gioco non avvertono un trauma reale, grazie come detto a meccanismi difensivi difficili da aggirare. Esistono vari test indicatori d'abuso, utili a cogliere la verità senza traumatizzare il prete. Eccone alcuni:

  • il gioco con bambole o bambolotti, nei quali siano riprodotti in dettaglio collari sacerdotali, paramenti sacri e tonache religiose; spesso l'elaborazione fantastica, la chiarezza semantica, il livello di coerenza delle dichiarazioni e una conoscenza della psiche infantile inadeguata per l'età, aiutano ad individuare i casi più nascosti.
  • analisi mediche e di laboratorio (test del Muco, delle Caccole e della Sporcizia infantile), che dovrebbero essere condotti con cautela al fine di evitare esperienze intrusive.
  • analisi comportamentali ed emotive, che possano rilevare disturbi del sonno e dell'alimentazione, depressioni, paure, erotizzazione dei comportamenti, disinteresse per le attività religiose.


La letteratura scientifica dimostra che il primo passo da percorrere con il prete è cercare di fargli capire che ciò che ha vissuto non coincide con le "normali" esperienze che un soggetto della sua età di solito vive.

Sarebbe sbagliato assumere un atteggiamento ottusamente critico nei confronti di ogni fascia di età infantile. Il mondo è pieno di bimbi innocenti ed equilibrati, che in questo momento sono impegnati solo a giocare. Per colpa di alcune mele marce non si può gettare tutta la cesta nella pattumiera. E occorre sopra ogni cosa aiutare le vittime. Che se ancora c'è al giorno d'oggi un prete che riesce a scappar via battendo in velocità il sinite parvulos, cioè quei sciagurati regazzini animati dal tristo sentimento della pretofilia, il pover'uomo merita tutta la comprensione di cui siamo capaci noi scampati.

martedì 30 ottobre 2018

Nobbadi laix Saputelly


















Il digitale ha ucciso il cartaceo. Prendi ad esempio il porno vintage, nella persona della Donnanuda di cellulosa: il porno a legna. Che giustamente per delle seghe era ottimo.
Il virtuale ha massacrato il reale. I cellulari hanno ripreso ogni evento, ogni posto, ogni cosa. Non gli resta che riprendersi tra loro, partorendo celerini arrabbiatissimi che per il bene reciproco se le diano di santa ragione.

Quella che mi accingo a raccontarti, bambino, è una favola dei nostri giorni. E le favole dei nostri giorni, come quelle dei giorni più remoti, ti fanno addormentare con un semino nella testa. Germoglierà domani, facendoti più inquieto e attento; in altre parole, adulto.

La favola dei saputelli è il miglior esempio dello scempio di un ecosistema. Di quanto possano devastare un territorio vergine una specie aliena che entra in concorrenza con gli autoctoni, obbligandoli a spostarsi. Sterminandoli, addirittura.

I saputelli comparvero nel web fin dalla sua nascita. Ma è sul finire del XX secolo che la loro diffusione risultò fuori controllo.

Nel web i saputelli trovarono condizioni favorevoli: anonimato, inviolabilità fisica, spazi e temi virtualmente infiniti. Nessun osservatore all'inizio era allarmato. Notoriamente inabili alla riproduzione, si pensò a fenomeni isolati. Era divertente osservarli, sulle prime. Come nelle aule scolastiche, essi iniziarono a dispensare suggerimenti e consigli non richiesti. Iniziarono a primeggiare per le loro nozioni, nonostante i propri rachitismi. Pinguedini, verginità, basse stature e calvizie incipienti erano palpabili anche da dietro il cristallo liquido. Nel dosaggio di maiuscole e minuscole qualcosa ne svelava la voglia di rivalsa.
Poveri quelli che capitavano su un sito alla ricerca di consigli! “Quale sarà lo schermo migliore?” “Quale frigorifero consumerà di meno?” “Quale lavatrice durerà di più?”. Il saputello lo sa, o finge di saperlo. Ma non lo dice. Ti deride per come formatti la tua richiesta, per come sbagli sezione, per la facilità con cui vai off topic. Per lui tu sei un newbie, un incompetente. Finalmente, più inetto di lui. Sorvola sul tuo bisogno di informazioni, e ne ride. Sa tutto di te; anzi, lo sa meglio. Come si scattano le tue foto, come si educano i tuoi figli, come conviene porsi coi tuoi colleghi. Si esprime per sigle, ama gli acronimi. È il giocatore più molesto di una partita a Trivial Pursuit. L'etere lo carica a mille, la virtualità lo rende invincibile. Colpisce impunito, più persone alla volta. Si apposta sui social network mimetizzato da amico e attende passi falsi da puntualizzare. Gli scontri più sanguinolenti avvenivano sui tecnicismi. Se chiedevi un parere su un bios, su una scheda madre, sulla velocità di rotazione di un hard disk, eri spacciato. Sapevano apparire competenti, rivelando della loro pretesa competenza solo rari barlumi.

I primi testimoni sorridevano, respirando l'aria giovanile di mille cancellinate sulle fronti degli impudenti, e i vapori di gesso che ne esalavano. Ma i lanciatori non miravano. I cancellini non partivano. Rapidamente i saputelli si spostarono, dalle aule scolastiche, dagli uffici, dalle strade, dai raduni. Lesto fu il passaparola. Nelle palestre riposero i loro lievi manubri sulle rastrelliere, e partirono in una delle più fulminee e devastanti migrazioni che la storia ricordi.
Impararono l'arte del celare la conoscenza, ostentandola come un maglio pronto a calare sulle schiene degli sprovveduti. Inventarono la scienza di tirare le somme sorvolando sulla mancanza di tutti gli addendi. La conquista dell'autorevolezza in cambio di quattro nozioni snocciolate con reticenza. Al saputello furono perdonate le gobbe e fu concessa la fiducia. Divennero infallibili, e nessuno si preoccupò di smascherarli finché il loro numero era esiguo. Assunsero un'aura sacerdotale, e dubitarne divenne eresia. Erano irraggiungibili. Se tu desideravi triturarne le carni, schiacciargli la testa sotto un macigno o affumicarli lentamente con accendini monouso, ti scontravi subito con la loro impalpabilità. Quegli esseri filiformi, ridotti a un silenzio impaurito per ere geologiche, avevano alzato il capo. E non v'era modo di decollarglielo.

Vana era l'evidenza. Le nozioni dei saputelli sono parziali, incomplete. Praticamente inutilizzabili, se non per impressionare l'interlocutore. Capire la dimostrazione di un teorema di geometria e saperla esporre senza saltarne i passaggi, cogliere la sintassi di una versione di latino, ti porta a diffidare della fobia per le scie chimiche. Ma come usare questa consapevolezza, senza permettere al saputello di far leva sulle tue debolezze?

Commissioni di studiosi si riunirono ad analizzare il caso. Il problema, convennero, è che il bullo, nemico naturale del saputello, nulla poteva, se ostracizzato dalla realtà fisica. L'universo era contaminato, e la minaccia si espandeva. L'estinzione del buon senso era alle porte. I saputelli imperversavano, commentando saccentemente perfino le tavole rotonde che li volevano distrutti. Dileggiavano gli scienziati. Fu una fortuna. Le persone perbene esitano, di fronte alle soluzioni finali. Quelle celie, quelle facezie diedero nuova linfa alle ricerche. I laboratori si mobilitarono. L'ingegneria genetica sfornò il suo migliore capolavoro. Il Troll.

Da un'idea della mitologia celtica, si conferì al bullo in carne e ossa una fisicità virtuale. Il bullo archetipico venne privato di ogni residuo d'intelligenza. La sua refrattarietà alle obiezioni, pertinenti e impertinenti, era totale. La velocità nella digitazione, leggendaria.
I primi esemplari di Troll vennero testati in rete nei primi giorni del nuovo Millennio. Il successo fu strepitoso. I saputelli sgomenti venivano sconfitti dal pensiero laterale con cui i Troll scartavano obiezioni e contrattacchi dettati dalla logica. Le argomentazioni venivano sorvolate. Comportamenti fuori etichetta ne falcidiavano a centinaia.
Chi non simpatizzava per il fiero cipiglio di codesti buffi animaletti? Uno dei più chiari intellettuali dell'epoca si produsse nel noto saggio “Elogio del Troll”, in cui si attribuiva l'esaltazione del saputello a una poetica risorgimentale ormai superata, rilevando come l'allegra anarchia del Troll fosse la base del dubbio e del metodo scientifico con cui ogni mente sana doveva affrontare il nuovo millennio.
Presto però ci si rese conto che la rimozione di ogni intelligenza rendeva il Troll incontrollabile. Si rivolgeva all'utente normale come al saputello colla stessa brama di sterminio. Celebre l'esperimento del Burraco On-line, in una partita fra saputello, Troll e due ricercatori spacciatisi per giocatori comuni. Il primo a farsi avanti fu il saputello, che contestò al suo partner (uno dei due ricercatori) la convenienza di scartare un 6 di picche che gli sarebbe valso una scala a incastro col 5 e il 7 in suo possesso. Prima che il ricercatore potesse obiettare di non poter avere idea delle carte del compagno, visto che le regole del gioco le volevano vicendevolmente coperte, fu il Troll che con una velocità orripilante sovraimpresse nella chat “nobbadi laix saputelly”. Ora, è noto che il saputello tiene fra le onte più ignobili quella di essere tacciato di saputellismo, in una strana procedura ricorsiva. Mentre il saputello indignato iniziava a contestare un uso improvvido della lingua inglese, il Troll iniziò a vomitare alcune fra le più bieche offese dialettali del globo terracqueo. Il saputello decise allora di sfidare il Troll sul suo stesso campo, sfoggiando le sue migliori parolacce. Fu un suicidio. Gli insulti fanciulleschi che utilizzava erano istantaneamente surclassati dalle orribili maledizioni vomitate dal troll. Data la mala parata il saputello ripiegò sul dileggio, chiedendo al Troll che studi avesse mai fatto nella vita. A questo punto, il più debole di stomaco dei due ricercatori supplicò le due cavie di recedere, attirandosi le ire di entrambi.

Questo, era il problema. La scienza aveva coniato una nuova minaccia, anch'essa mortale. Il progetto di introdurre un'altra specie invasiva si rivelò un completo fallimento. Così come i saputelli si moltiplicavano per l'assenza dei loro naturali predatori, i Troll non facevano distinzioni tra le prede designate e le altre; e iniziarono a fare stragi di utenti comuni, del tutto privi di difese. Per non parlare, abusando di preterizioni, dei danni occorsi ai proprietari di piattaforme online, server, compagnie di telefonia e provider di ogni sorta di servizio, che videro decimati i loro proventi. Il consumo indiscriminato di risorse da parte di una minima parte di utenti, unito alla naturale erosione dei terreni, contribuì alla desertificazione irreversibile di vaste aree del World Wide Web.
La favoletta morale - edificante come poche - che ti ho appena narrato; cosa edifica?
Il fatto che la natura non può essere controllata, o almeno non coi pochi mezzi di cui disponiamo al giorno d'oggi. A volte la cura può essere peggiore del problema, e l'uomo dovrebbe smettersela una buona volta di giocare con l'ambiente.

domenica 30 settembre 2018

L'uomo schizoide del XXI secolo



Alla fine degli anni '10 il 56% della popolazione non sapeva leggere né scrivere su carta, Internet esisteva solo da una ventina di anni e la stragrande maggioranza di case, negozi e città usava ancora l'ADSL. La fibra c'era solo nelle città più grandi, stazioni e aeroporti erano quasi completamente vuoti, mentre autobus e metropolitane erano stipate fino all'inverosimile. Fare viaggi fisici e non virtuali era retaggio di pochi ricchi, o di fasce del sottoproletariato disposte a indebitarsi per generazioni pur di trarne selfie da pubblicare online. Il teletrasporto non esisteva, le auto elettriche erano considerate un capriccio che non avrebbe mai sostituito il motore a scoppio. La società era divisa in classi sociali invalicabili: i Connessi e i Non Connessi. La Globalizzazione si estendeva su Frosinone, Cinisello Balsamo, Bitonto, Voghera, Battipaglia, Scandicci. Posti in cui la popolazione era lontana dalla cultura e dalla mentalità dei social network, vuoi per calcolo, vuoi per mancanza di campo. Gli abitanti di quelle zone venivano considerati dai Connessi degli outsider, incompetenti e nullafacenti. Essi detenevano la leadership nelle grandi città, mentre i Non Connessi vivevano in pace e laboriosi sulle montagne più alte e nelle coste meno turistiche.

Da anni era palpabile una tensione permanente fra Connessi e Non.  Il conflitto si accentuò per i flussi migratori dei lavoratori e dei fuori sede, e finalmente esplose.

Il 28 giugno 2022, di fronte al “Ma anche no” di una ragazza che corteggiava, un giovane di etnia ciociara impazzito dal dolore si apposta negli studi televisivi di Cologno Monzese, e al termine delle registrazioni uccide il comico televisivo che aveva creato quello e altri slogan di successo, subito divulgati dalla Rete.

È la Guerra, quella Grossa. Ci si divide in interventisti, neutralisti e non interventisti. Gli scontri sono sanguinosi, ci si accusa a vicenda tra familiari e vicini. Scattano presto le alleanze: sotto la guida degli utenti di Linkedin, vera e propria intelligencija per tutto il conflitto, si mettono quelli di Facebook e Instagram, nonché i seguaci dei maggiori programmi d'intrattenimento e in generale dei canali televisivi a diffusione nazionale. Nel fronte opposto i reietti, i tagliati fuori, quelli che per impossibilità o per scelta ponderata non hanno saputo integrarsi. Uno schieramento più vasto, ma difficile da organizzare. Per gli scontri si pronostica una durata breve. I Connessi optano per manovre rapide e travolgenti (la Guerra-lampo), destinate a sfondare le eterogenee linee nemiche nei punti più deboli, per poi procedere all'accerchiamento e alla distruzione delle unità isolate senza dare la possibilità di reagire. Uno sforzo minimo, per il massimo risultato. I Non Connessi mancano infatti della prerogativa più importante: una lingua comune. Di diversa etnia e provenienza varia, all'inizio restano frastornati dalla propaganda nemica, criptata spesso in codici complicati (“Quoto”, “Apericena”, “Renzusconi”), e arretrano perdendo posizioni. Ma poi si attestano sulle roccaforti naturali di provenienza, mai raggiunte da alcun segnale; e da lì si trincerano in un'estenuante guerra di posizione. Gli eserciti si fronteggiano per mesi, i mesi diventano anni. Nel frattempo i Non Connessi si organizzano in contro-slogan (“Ciaonarcazzo”, “Adoro vuole il complemento oggetto: dateglielo, stronzi”), e sembrano rispondere all'offensiva colpo su colpo.

I Connessi danno il meglio di sé. Dallo stato maggiore agli avamposti più avanzati. Piovono, anche sulle popolazioni civili, i “Tanta roba”, i ”Fa riderissimo”, i “No ma falle due gocce”. Applicano suffissi, sembra che ogni parola debba terminare con -errimo. Il sangue dalle orecchie scorre a fiumi. In questo periodo, nero per l'umanità, si diffonde negli eserciti un clima di sfiducia. Nelle menti dei soldati dell'uno e dell'altro schieramento v'è la paura di essere uccisi, e il rifiuto di uccidere. Le fughe e le diserzioni sono all'ordine del giorno, per non parlare di fraternizzazioni con il nemico e automutilazioni delle orecchie per non andare al fronte. Crescono disperazione e malcontento. Tutte le popolazioni, anche quelle lontane dai campi di battaglia, subiscono fame, privazioni e carestie. Scoppiano scioperi e scontri di piazza. Il papa chiede la fine dei combattimenti, e invita i guerrafondai a rinunciare ai loro interessi in favore di quelli generali dell'Umanità; con suo grande stupore non viene ascoltato.

“Tornerete prima che dagli alberi cadano le foglie”, avevano promesso i generali alle truppe in quel Giugno fatidico. Troppi Giugni si susseguono. Spogli di foglie, fiori e frutti. Fioriscono nuove correnti artistiche e generi letterari. La Grossa Guerra dà linfa nuova. Pittori e letterati dai loro alberi autunnali scrivono le pagine più ispirate dei loro poemi.

Ma la minaccia di essere messi nella friend-zone dà vigore ai Non Connessi, nonostante i Connessi nei cinegiornali di regime si dicano Sul pezzo. Di fronte al nemico che fa le virgolette con le dita il Non Connesso ribatte colpo su colpo. Taglia fibre ottiche. Oscura campi elettromagnetici. Produce interferenze. Sovraccarica impianti elettrici. Nulla possono gli “E i marò?” e la Resilienza del nemico. I Non Connessi sono in soprannumero, destinati a vincere.

Ciononostante non c'è vincitore, ma solo sconfitti. Le vittime si contano a milioni, e a molti più i feriti. Vengono fatti i primi studi sul disturbo post traumatico da stress. Il reinserimento dei superstiti e dei reduci, gravemente segnati e menomati a vita, è lento e doloroso, e mai definitivo. Il mondo ne esce profondamente mutato.

L'11 Novembre viene firmato l'armistizio, chiudendo così quella che da allora chiamiamo la Grossa Guerra. I comandanti delle milizie dei Connessi, rovinati da una guerra dichiarata troppo in fretta, sono processati e condannati. Spesso alla  disconnessione a vita. Molti scelgono il suicidio prima della lettura della sentenza. I superstiti devono firmare un elenco di 14 punti, fra i quali si sancisce il divieto a Perplimersi e a Lovvare chicchessia. Il linguaggio, si scrive, deve nascere spontaneamente e con lentezza, diffondendosi dal basso e senza mai arrivare in alto del tutto. Come nel passato era stato mutuato il gergo delle sottoculture, traendo i Na cifra, Sto a ròta, Intripparsi, Sballare, Schizzato, Sto a svortà, dallo slang dei tossicodipendenti, ma in un processo lungo decenni. E mai più partire e imporsi dall'alto dei tormentoni di qualche personaggio televisivo, in modo acritico e repentino, subito pubblicati su bacheche accessibili alle menti più indifese. Per l'Umanità, davvero un Buongiornissimo.

venerdì 21 settembre 2018

Statuaggi






















Ora, per esempio. Questa mania dello statuarsi.
Non si sa bene quando o da chi sia partita. Su queste cose non ci si mette d'accordo. Ti sembrerà strano, ma un tempo si nasceva completamente tatuati. Cioè la pelle era pigmentata e policromatica. Tutta. Poi qualcuno decide di scolorarsi a zone. Per esprimere che so, la propria identità spirituale, o l'appartenenza a una casta. O magari per fare lo spiritoso e far ridere i suoi compagni. E lo fanno i giovani, ma giovani per davvero, poiché esempi mummificati se ne trovano fin dalle epoche più acerbe dell'umanità.

Uno visita un santuario, e subito si fa decolorare una scritta o un motto votivo. In certe culture lo statuaggio ha funzione decorativa. In altre sancisce contratti. Certe spose si statuano motivi floreali di buon auspicio, o il nome della famiglia del marito. A volte è lo schiavo a essere statuato, colle iniziali del proprio padrone. Oppure si depigmenta a fuoco la fronte del ladro e del brigante, a monito della sua pericolosità sociale. Statuaggi di carattere amoroso, cuori trafitti, nomi di amanti, si perdono nella notte dei tempi.










Successivamente lo statuaggio cade nell'ombra, associato alla degenerazione morale del delinquente. E infatti vaste zone di pelle nuda emergono su detenuti, fanti di prima linea, criminali e disertori.

Poi, la riscoperta. Un fremito attraversa le sottoculture giovanili, i movimenti hippy, i motociclisti. Spinte dalla popolarità dei personaggi pubblici che li sfoggiano per primi, persone di ogni età e censo scelgono lo statuaggio come imperativo sociale.

È la corsa all'oro. Fioriscono le tecniche, dai metodi più classici a quelli più grossolani. Statuatori improvvisati alla ricerca di strati intonsi di epidermide scarnificano con lame e uncini arroventati. Medici prestati al nuovo business puntano laser sui loro ricchi pazienti. Chimici riciclati sintetizzano i composti dermoabradenti più aggressivi. Contro ogni previsione nasce una corrente di tatuatori (cioè professionisti - difficile da spiegare - che, qualora esistessero corpi non coperti di tatuaggi, si occuperebbero di apporne di nuovi) alla ricerca di un pigmento che imiti il colore della pelle naturale. Pigmento che, come ricorderai dai tuoi disegni infantili, semplicemente non esiste.


Gli istituti di sanità pubblicano statistiche. Le epidemie si diffondono. Gli ispettori compilano verbali salatissimi. Le consulte propongono di vietare lo statuaggio ai minorenni, anche se autorizzati dai genitori. Dolori, granulomi, allergie, epatiti, herpes, infezioni, pus. Fotosensibilità. Disturbi della coagulazione. Tendenza a emorragie. Affiorano ettari di epidermidi ignude, dai corpi di chiunque. Ragazzine adolescenti di buona famiglia chiedono di essere statuate come regalo dei diciott'anni. Diaconi, suore, preti; per loro il nuovo cilicio è lo statuaggio. Ma i corpi da cui spuntano più strati di pelle fresca sono di gente che non ha soldi per comprare pannolini e omogeneizzati ai figli piccoli, e si lamenta delle proprie condizioni di vita. Statuarsi costa. Dipende dalla parte del corpo da decolorare, dalla complessità della cancellatura, dai dettagli. Si vende cara la pelle. Al metro quadro.



E si va in spiaggia a ripassare i numeri romani. Farfalle, rondini, tribali, si inseguono intrecciando corpi di grandi e piccini, fino a lasciarli nudi come vermi. Si affida la propria unicità a grandi citazioni. Chiavi di violino o addirittura di basso fioriscono su chiunque abbia una fruizione anche solo passiva della musica. Simboli dell'infinito si susseguono in mille permutazioni, ossimori disperati sulla cute dei mortali. D'altronde, Mariorossi vive significa che è morto, e la dicitura Professionale su arnesi e apparecchiature ne decreta infallibilmente la fallibilità. L'indignazione cresce; e questo è il punto.

Molti sono gli indizi della vecchiaia.

Aver bisogno degli occhiali da zio, per leggere da vicino. Quelli del supermercato, col cordoncino, da pochi €cu. Vedersi orecchie e nasi infestarsi di peli, se non si è svelti colle pinzette. Essere nati nel secolo scorso. Ma per sapere di esser vecchio di merda c'è una prova sicura.

Avere in spregio i giovani.
Già Socrate ai tempi, o almeno il vecchiodimmerda ritratto da Platone, blasta l'invenzione della scrittura pronosticando per i gggiovani un futuro da smemorati. Proprio non caga la crescita di informazione che ne sarebbe conseguita, tanto è eccitato dal dire 'ai miei tempi la scuola era una cosa seria'. Poi che c'entra, è pur vero che da lì parte l'equivoco tra competenze e opinioni per sentito dire, e qualsiasi sciochimico possa dire la sua dall'alto dei principali social network. Ma è al Vecchiodimmerda che si confà la visione apocalittica del puro Andare avanti, direzione da cui costui rischia di avvistare la morte per primo.

Che dire poi delle cariatidi che da versioni di latino difficilissime si scagliano contro le nuove generazioni? Davvero ti stupisci che il liceale si contenti di sufficienze stiracchiate, e aneli solo alle pizzette sul tavolo del bidello? I giovani sono carini. Curiosi più dei vecchi, scoprono nuova merda tutti i giorni e ci vanno in fissa. Sappiamo bene quanto la merda propria incuriosisca, e quanto disgusti quella altrui. Merda secca batte merda fresca? Mah. La prima puzza meno, la seconda concima di più. Ma sono brutte entrambe, a levarsi da sotto il carrarmato.

mercoledì 8 agosto 2018

Mille £ike al mese

Ho fatto una canzone.




martedì 29 maggio 2018

C'era una volta















C'era una volta Mattarella, Old Stupidino e la famiglia Oath.

So che è da pivelli, ma non riuscivo a resistere. Proruppi quindi in un - candido come le chiome cui mi rivolgevo – "Mattare'! Io non ci capisco più niente. Sui Social Network si legge tutto e il contrario di tutto, e i giornali certo non aiutano. Me lo puoi dire a me, sinceramente, se hai fatto bene o hai fatto male? Ti giuro che non lo dico a nessuno, ma tu: dimmi la verità". Mi trattenni dal modulare "Perché la verità - tu non l'hai detta mai" sulle note di Little Tony. Poteva sembrare una caduta di stile.
Però lo stesso gli infilai una mano nei capelli. Forse fu un errore, ma non riuscii a resistere. Credevo di carezzarli, ma furono loro a carezzare me. Che morbidi. Evocavano mille rosari, sciorinati nel fresco di una chiesa. Quando tirai fuori la mano sembrava ringiovanita. Era come tersa, in non zo più quale competizione.
Mattarella, buono come un pane di cui si potrebbe unicamente vivere, aprì la bocca, rosa come i fiori di pesco Di Battista. Ma ecco che la famiglia Oath, più sincrona d'una sezione orchestrale di metronomi, gonfiò i polmoni per iniziare una lunga e articolata puntualizzazione.

Io non so come faccia una famiglia intera, di dove non so pure, a essere così affiatata. Ho sempre letto di famiglie erose dalle invidie, dai diritti ereditari e dai rancori. Ma non era quello il caso. Senza patriarchi o matriarchi, la famiglia Oath sul punto di prendere la parola metteva paura. Più solida di un territorio colmo di carrarmatini, sgorgati da un tris appena cambiato. Se provi a ribattere colpo su colpo non finisci più, se non con la tua dipartita - e si sa, dipartire è un po' morire's. Puoi solo scappare, a meno che non ti sia già giocato lo spostamento.
S'era al culmine, dunque. Mattarella modulava la bocca di rosa in guisa di pesce gatto d'innanzi a un pasto di lombrichi. La famiglia Oath produceva un frastuono d'inferno, roteandosi i dadi rossi tra le grinfie. Regnava, stagnante e malarico, il mutismo. In quel momento successe l'imprevedibile. A rompere il silenzio fu Old Stupidino.

"Stupidini miei," disse, "non ce la faccio più: scancellatemi! Sono pieno di scritte. Alcuni compagni, che credevo buoni, approfittando di un'assenza della maestra mi ci hanno riempito. Proprio quando stavo per avere successo! Voi non mi crederete, ma mi vergogno tantissimo. Non me le posso leggere ma devono essere terribili. Non escludo che siano parolacce. Forse anche disegni osceni. Voi che siete sensibili come me, nonché figli di buoni diavoli, raschiate le mie carni. Sopprimetemi, non leggetemi. Non tentate di decifrarmi. Non mi lasciate sospeso nei media. Ho freddo e ho paura. Suono imbarazzante, prematuramente invecchiato, quando la mia tenera età lascerebbe presagire spremiture di brufoli allo specchio, davanti al quale non posso stare per la paura di cogliere il senso di quelle frasi, e l'angoscia di non capirle vedendole riflesse al contrario"; e nel dirlo, per la foga pestò una merda.

La tensione, poverina, si tagliava con il coltello. Vuoi per il gran ridere, vuoi per la figura retorica che stava facendo. Qualcuno degli astanti si apprestava a farne imbottitura di panini. La famiglia Oath, venuta da chissà quali Niente ma piena di premure minacciose, si caricava di più arie. Quand'ecco che successe l'Irreparabile.

Il muto Mattarella - con le boccucce, ricorderai, rimaste aperte - disarticolò quasi slogando le mascelle, e incurante della merda pestata e della tossicità di certi inchiostri, avvolse Old Stupidino in una stretta mortale, facendone un sol boccone.
Niente masticazioni, né  i sangui conseguenti. Il bolo elementare che un tempo era stato Old Stupidino si stagliava andreotto sulla schiena del canuto Presidente. I succhi gastrici abradevano le spiacevoli incisioni, che tanto avevano amareggiato la vita del povero innocente. Chissà se in quell'attimo, restituito al suo candore epidermico, abbia goduto di sapersi né più Old, né più Stupidino.

La famiglia Oath, piena di più arie di un soprano d'altri tempi ma privata della loro naturale estroflessione, mai si riprese. Smise per incanto di tendere agguati dai disclaimer della colazione. Per il resto della vita, l'aerofagia di cui sofferse le alienò ancora più attenzioni. Si estinse senza eredi, dimenticata dalla memoria delle masse. Mattarella proseguì un processo secolare di gestioni e smaltimento scorie, che non ebbe inizio con lui né con lui avrà fine. Saranno i posteri a nominarlo eroe, criminale o martire.
Quanto a me, imparai a non sottovalutare gli allarmi dei Social Network. Essi giacciono sugli schermi, scorrendo senza posa i cristalli liquidi. Ma chi può assicurarsi del loro fondamento? Forse il me incauto carezzatore di chiome ammaliatrici?

Mai sarò capace di scernere i pericoli.


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