domenica 21 dicembre 2014

Allusioni ottiche




















La gente fa battute che non fanno ridere. Eppure ride.

Dice sempre le stesse cose. Sostiene opinioni di seconda mano, con enfasi da programma televisivo. Vive vite, in effetti, più difficili da mandare giù di qualsiasi fiction.
Crede di avere dei problemi, e invece ne ha altri. Desidera cose contrastanti e inarrivabili. Non asseconda i propri interessi. Anzi, se li lascia atrofizzare da suggerimenti esterni, generatori di profitto altrui. Da qualche parte deve nascondersi qualcuno, struttura o individuo, che di tali marionette muove i fili.

Questo la gente lo sa benissimo. Mica la freghi, la gente. Tu organizzagli una fila alle poste il sabato mattina, o un convoglio ferroviario bello pieno, con l'aria condizionata che non funziona. Vedrai quante gliene dice, ai suoi burattinai. Ma dopo lo sfogo dimentica l'azione. Le scie chimiche hanno inibito i centri nervosi. Decenni di irrorazioni hanno prodotto frutti ormai maturi. 

I cartelloni pubblicitari sfoggiano seni perfetti, carnagioni abbronzate, mandibole quadrate. La gente cerca invano questi dettagli nel proprio partner. Nei teleschermi sfilano magrezze impossibili. Sulle riviste i cronografi scandiscono il loro tempo senza sconti, e le macchine sfrecciano patinate di pagina in pagina. I vestiti sono costumi di scena. I cellulari, l'unico mondo che valga la pena abitare.

I grandi valori li hanno accaparrati da tempo. Non ce n'è più uno libero. L'ultimo se l'è preso quel partito politico che, per una brutta storia di tangenti, ha dovuto cambiare nome per penitenza.

I politici basano le campagne elettorali sulla lotta alla piccola criminalità e sulla paura dello straniero. Una volta al potere, lucrano su campi nomadi e centri di prima accoglienza. I controllori stampano biglietti falsi. I lavori pubblici durano e costano dieci volte tanto, ingrassando cortigiani al limite del malavitoso. I terremoti generano indotti illeciti. Come pure le alluvioni, cui viene sempre assegnato un nome.  Per gratitudine, con tenerezza.

La gente invidia chi sta meglio. Controllori e politici. Chiunque sia più forte, più potente, più ricco, più bello, più pronto nelle risposte. Ma le scottanti rivelazioni dei giornali scandalistici ne rivelano le miserie, e tutto si ridimensiona. D'altra parte nessuno sta mai troppo bene. C'è sempre qualcuno più in alto, da invidiare. E se manca, c'è il rischio di capitombolare verso il basso. Rispuntano i sorrisi, ci si sente migliori. Si torna a votarli, abbracciando faziosità di stampo calcistico ereditate da  amici e parenti. Senza notare che almeno i tifosi hanno azioni da commentare, belle giocate e preziosismi tecnici, gol realizzati o errori arbitrali che non li hanno assegnati. Ai votanti per scaldarsi bastano le tribune elettorali.

Fatti salvi alcuni campioni di mimetismo, e alcune uova deposte in nidiate non pertinenti, in natura l'unico animale che pensa per tutto il giorno a camuffarsi è la gente. Maschera la propria autenticità e le proprie voglie, perché è très chic. Vive nell'adulterio del proprio sé, e chiama 'bestie' esseri colpevoli di vivere serenamente i propri bisogni. Nasconde la fame, sorvola sulla sazietà, glissa sul desiderio di copulare ma in realtà non pensa ad altro. Sonda le debolezze del prossimo con pseudoumorismi gratuiti, per ingranare frettolose marce indietro davanti a una mala parata. Copre zanne e ritrae artigli, negando con sdegno ogni istinto aggressivo. Invece di sfogarlo per pochi attimi e poi rilassarsi, lo cela nelle contraffazioni nei social network, lasciandolo trapelare a ogni istante.

Chi va a vedere mostre, guarda film o legge libri, lo fa per moda. Gli intellettuali consultano oroscopi. Si sopporta la periodicità degli scioperi. Ci si lascia addomesticare dalla serialità di sport recitati. Siti di e-commerce e catene di santantonio violano le caselle di posta. Le orecchie si abituano ad avere rumore per sottofondo, mentre in TV scorrono caroselli di adesivi per dentiera. All'ora di cena, naturalmente.

I cervelli vanno in poltiglia. Si vive un breve momento di forma. Ineccepibile, lo si riconosce a posteriori dalle foto. Prima e dopo ci si piscia addosso, si articolano male le parole, si ride quando si dovrebbe piangere e si piange quando sarebbe opportuno ridere. La piena maturazione è stata un attimo. Una breve stagione di bellezza, vigore mentale, funzionalità fisica, e rien ne va plus. L'unico culmine a cui si arriva e da cui ci si allontana con due salite, entrambe impervie e interminabili, ma a ben vedere cortissime, il cui demiurgo sarà senz'altro un Maestro delle allusioni ottiche.

Forse più coscienza aiuterebbe. Ma non troppa, che un eccesso di lucidità potrebbe rivelarsi fatale.
Quindi tutto funziona alla perfezione.

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“Bene bene bene”, esclamò Mangiafuoco, sfregandosi le mani. “Ancora un po' di esercizio e il mio teatrino mi renderà un bel mucchio di quattrini. È la volta buona che riesco a emigrare da 'sto mortorio di Iperuranio”.



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