venerdì 12 luglio 2013

Puntualità.

Viviamo in tempi disordinati. Compriamo razzi difettosi, per difenderci da nemici pericolosi al punto di essere invisibili. Pubblichiamo sulle nostre sigarette elettroniche le aberranti foto di chip bruciati o di fusibili rotti, per dissuaderci dal suggerne surrogati poco tossici.

Ordine e disciplina” è spressione dagli echi sinistri, negli mmaginari comuni. Ma questo talvolta è un punto di vista riduttivo. Se io voglio imparare a giocare a scacchi, ho bisogno di apprendere un sistema di regole che mi permetta di esprimermi le strategie. Devo sapere al più presto che, se necessario, il cavallo scavalca gli altri pezzi, com'è opportuno per un animale come lui, e lo fa trotterellando a “elle”. Non potrò pretendere di arroccare una regina coi suoi pedoni, poiché prerogativa rigidamente monarchica. Le regole ha senso infrangerle una volta note, per tentare di produrre qualcosa di originale e purtuttavia valido.

La struttura, vincolandoti, ti dà gli spazi per esprimerti. Lungi dall'essere castrante, questo meccanismo è invece ricco di stimoli. Specie quando le tue strutture sei capace di creartele da te.

Ordine e disciplina” è poi mprescindibile quando, per esprimerti, decidi di avvalerti di codici condivisi.
Decifrare un codice, noto o ignoto, è un'impresa che non tenterei mai, se perfino quel rissoso, irascibile, carissimo Umbertoeco nei suoi saggi sterminati spesso non fa altro che sterminarmi l'entusiasmo con cui tento di approcciargli le semiotiche.
Più modestamente cercherò di riferirti quello che, più che lo studio, l'esperienza di osservazione più che di vita (tanto per cambiare) mi ha insegnato sull'interpunzione.

Se tu ti articoli i diti sulla tastiera alfanumerica, non puoi confondere i Duepunti col Punto&virgola, che è l'errore più noto. O il Trattino colla Barra. Se lo fai, improvvisi in una neolingua più orwelliana dell'originale, che invece di espanderti i confini e le possibilità, ti relega nel detto male, nel non espresso, nel poco chiaro. Impoverisci la mente tua e del tuo interlocutore, e alimenti l'inquinamento e il degrado mentale, intaccandomi l'ecosistema pezzo per pezzo; irrimediabilmente. Eccoti quindi un bugiardino, di cui leggere attentamente le avvertenze e le modalità d'uso, per guidarti a un uso più puntuale delle scelte interpuntuali. Partiamo dall'inizio.



Il Punto (“.”)

Non è una faccina. Non cominciare. Sai bene quanto m'innervosisci, quando tiri fuori chiavi dalle tue serrature cabalistiche. Le virgolette servivano a creare un'oasi semiotica in un flusso semantico precedente e sequenziale.

Il Punto è unico nella sua essenza geometricamente adimensionale. Anche una modica Virgola (v. prossimo paragrafo) ha estensioni lineari e superficiali (quando addirittura spaziali, nel suo spessore tipografico) non trascurabili.

Eppure, in qualsivoglia sintassi, è il Punto a detenere il massimo potere conclusivo. Esso chiude ogni discorso, lasciando a te la scelta se farlo in modo temporaneo o definitivo. Usa un mezzo potenzialmente devastante come il “Punto” sempre con la massima sapevolezza.



La Virgola (“,”)

La virgola serve a respirare. Il cantante e lo strumentista accorto la utilizzano come apice tra le note, per deciderne il fraseggio. Melodie pure azzeccate diventano soffocanti, se non inframezzate da virgole opportune. Se troppe, causeranno fenomeni di iperventilazione, e conseguenti svenimenti.



I Due punti (“:”)

A che pro, incastonarti due punti in verticale nei discorsi? per ejaculare una conclusione da un onanismo verbale precedente. Ciò che segue ai Due punti chiosa, riassume, conferma. Oppure nega, sorprende, stupisce. Ma sempre, ciò che lascia eruttare è l'effetto di quanto precedentemente costruito.
Non avvalertene, se stai per dire cose avulse dal contesto.



Il Punto&Virgola (“;”)

Fra i segni interpuntuali più simpatici. La perentorietà del Punto, stemperata dallo scivolo lessicale della Virgola. Quando ne fai uso, inchiodi su un acceleratore che, con la sua energia cinetica, rinculerà il lettore sulla conclusione successiva. Scegli di offrire nel discorso una pausa veloce alle macchinette del caffè, da cui non si può che uscirne rinfrescati, e mentalmente più attenti. Pronti per cogliere proficuamente il frutto del lavoro precedente.
Non a caso, nelle faccine degl'imbecilli, esso semioticamente vale l'ammicco di un “occhietto”.



Il Punto interrogativo (“?”)

Non dubitare mai del dubbio. Esso è foriero di ogni certezza futura.
Non rafforzarlo soprattutto, copiancollandolo in una ripetizione selvaggia. Non esistono domande, o richieste, vaste al punto da meritarla, poiché sono tutte tendenti all'infinito. Sortiresti piuttosto l'effetto contrario: la banalizzazione. Come quando leggi “Professionale” su un attrezzo che palesemente non lo è. Anzi: la dicitura “Professionale” ne decreterà di norma il contrario.
Molto bello il Punto interrogativo inverso (“¿”), di uso spagnolo. Anche in musica una tensione va preparata, anticipandola e lasciandola fuoriuscire in fade-in da una precedente consonanza.



Il Punto esclamativo (“!”)

In un discorso scritto non va mai usato. Denota quasi sempre arroganza, quando non addirittura insicurezza sui contenuti esposti. Un uso singolo è ammissibile solo per colorare di ronia la proposizione. Va invece benissimo nella narrazione, nel fumetto, o in ogni caso di sospensione dalla realtà, che infatti favorisce. Anche qui, copiaincollaggi selvaggi e rovesciamenti ispanici provocano le stesse, diversissime, sensazioni esposte nel paragrafo precedente.



I Puntini di sospensione (“...”)

Non ce n'è alcun bisogno. Mai.
Un loro utilizzo denota vigliaccheria dialettica. Come a dire, Potrei dire, ma per delicatezza o superiorità non dico. O anche: I miei contenuti sono traboccanti, te ne lascio solo intuire la portata poi basta perché sennò rimarresti devastato dal mio spessore. Non ti dico, però; e non dicendo non ti do modo di soppesarlo, questo mio spessore presunto e dunque presuntuoso. Il che immediatamente ne rende il fruitore figlio di Troia per niente archeologica.
Mai sospendere. Tenere aperto, se necessario; oppure chiudere. Buoni per ambientazioni esclusivamente favolistiche. Un loro utilizzo da te effettuato, assieme ai copiaincollaggi precedenti (interrogativi e sclamativi), è il trucco più veloce per svanirmi dalla considerazione.



Le Virgolette

Sintomo inequivocabile di definizione, citazione o discorso diretto. Disegnamone in aria il meno possibile, se non vogliamo restare catturati in un ruolo di scimmia imitatrice di chissà quale comico televisivo antesignano.
Scolastiche sono quelle Basse (“<< >>”), d'uso comune i doppi apici (“ “” ”), indicanti spesso un flusso di pensieri in contesti narrativi quelli singoli (“ ' ' ”).


Le Parentesi

Con la loro presenza, ti ricordano che al mondo vi sono infiniti livelli possibili. Che individuano una dinamica altrettanto infinita. Tu puoi prestare attenzione a quello da cui vieni e a cui tornerai, mentre loro ti hanno appena aperto una botola sotto i piè.
Permettono una funzione di supervisione del testo presso il lettore.
Possono essere tonde (“()”), quadre (“[]”) o graffe (“{}”), e acquisire vari gradi di priorità in contesti meramente matematici. In quelli narrativi, la presenza delle quadre indica rimozioni testuali, qualora racchiuda puntini di sospensione nel loro unico uso giustificabile.



Il Trattino (“-”)

Trae dal suo contesto aritmetico una valenza sottrattiva, richiamando a sé l'attenzione dal contesto precedente. Ha una funzione parentetica meno sospensiva delle Parentesi. Chiede esplicitamente la tua attenzione, senza distoglierti pienamente. In quanto tale, è un ammicco appena meno appagante del Punto&Virgola. Alle volte ti permette, se lo vuoi, di sillabare.


La Barra (“/”)

Anche qui, come nel Trattino, importiamo un significante aritmetico per rendere l'idea di divisione tra termini o concetti. Equivale per l'appunto alla congiunzione “o”, “oppure”. Costituisce disgiunzione inclusiva (in latino vel, XOR in algebra booleana), a differenza del trattino (aut e OR negli stessi contesti) che disgiunge più esclusivo, più radical, più chic.



Quindi non dire che non ti ho avvertito. Apprezzami il lavoro fatto, che per quanto modico è notevole quando ne sia autore un pigro. Ora, se a me ti vuoi rivolgere, accetta almeno l'uso che dei segni d'interpunzione io ti propongo. Non farmi respirare convulso, con il tuo virgolare forsennato o assente. Non pretendermi reazioni emotive, coi tuoi perentori esclamativi o interrogativi insulsi.

Oppure ammetti che io, sui tuoi modi e la tua indole, mi faccia delle idee conseguenti e mie.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi viene da piangere per la commozione.


Anonimo ha detto...

Questo ne anche è mio..

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