1. Parole
L'orecchio non ha palpebre. È completamente nudo. Nudo come un verme, diresti tu, sempre propenso alla metafora stantia.
Ma perché lo paragoni a un verme? Non avrà una forma bellissima, in effetti. L'occhio è di gran lunga più grazioso, o almeno certi occhi. Ma di certo, per quanto buffe siano quelle nervature sul padiglione auricolare, esso non merita una tale esposizione agli eventi sonori.
Quindi tu, e peggio ancora io, non possiamo difenderci in nessun modo da lavori stradali, camion della nettezza urbana che ci svegliano la mattina presto o non ci fanno dormire la sera. Arrotini e coltellai. Traffico stradale. Campane delle chiese.
A te l'incarico di decidere quali di questi siano davvero funzionali. Io, in cuor mio, ho già deciso.
Non ha iridi, l'orecchio, che con la loro contrazione dosino sul timpano la quantità di stimolo. Non può adeguarsi ai posti in cui tu e io lo portiamo a spasso.
Ad esempio, se io passo sotto le finestre di un adolescente costretto a prendere coscienza di sé dai suoi esercizi al pianoforte, piuttosto che dalla TV o da Internet come invece converrebbe, il padiglione mi convoglia quello strimpellare pallido e assorto nel canale uditivo, avido imbuto che non mi perde mai nemmeno una goccia. Da lì l'impulso acustico è trasdotto in segnali elettrosciocchi, con cui il nervo acustico mi pizzica le corde del cervello. Le quali vibrano sul ricordo mai sopito delle mie analoghe torture. Scale maggiori e minori, armoniche e melodiche, Richter & Mercalli. Dai pioli spesso dissestati. Metronomi e sordine. Con l'unico scopo di non farmi troppo rimproverare da insegnanti e genitori, mentre là fuori i miei compagni imparano la vita.
Ecco perché nuotare sott'acqua mi piace. Per ascoltare il silenzio assoluto. Sordo a ogni richiamo di quei nuovi lettori subacquei di audio digitale. Per riappropriarmi del silenzio. Per sentire finalmente l'effetto che fa. Riassaporare la mia possibilità di romperlo, eventualmente solo per una voglia tutta mia.
L'orecchio interno manca del tutto di fonorecettori diversificati che si adeguino alle varietà dell'ambiente in cui si propaga l'onda prima di colpire. Non come la retina oculare, coi suoi coni e bastoncelli che raccolgono gli uni i colori nitidi diurni, i movimenti notturni gli altri, pur sfocati.
Come so queste cose, vuoi sapere? Perché quel giorno del liceo, come in tanti altri, saltai la lezione di biologia e feci sega. Quindi il pomeriggio andai da Alessandra a prendermi gli appunti, che il giorno dopo potevano benissimo interrogarmi. Lei per sommi capi me li riassunse. Poi si sdraiò stancamente sul suo letto, guardandomi. Io invece continuai a guardarle il quaderno coi coni e i bastoncelli, poiché ero un ciccione. Un ciccione miserabile. Ecco perché per tanti altri anni non persi la verginità. Primo, perché non sono distratto come te. Quindi difficile che mi perdo qualcosa. Anzi dovrei stare più attento, perché le rare volte che la perdo, spesso poi quella cosa la ritrovo. Secondo, perché il cervello mi rimugina come e più del ruminante più goloso. Ecco quindi perché coni e bastoncelli mi stanno marcati a fuoco nella corteccia. Perché hanno transennato un bivio fondamentale della mia vita. Inutile starti a dire le volte in cui, su quell'indotto potenziale di coni e bastoncelli, per anni e anni mi ci sia fatto seghe più prosaiche.
In compenso, una delle tre materie che anche quell'estate presi per settembre, era Biologia.
Sembrerebbe totalmente vulnerabile, l'orecchio. Solo un muscolino, a difenderlo. Lo stapedio. Da una certa intensità di suono in poi, la sua contrazione frena la corsa dei tre ossicini, che altrimenti trasmetterebbero amplificata la vibrazione del timpano all'orecchio interno, limitando così la percezione sonora sovrabbondante.
Muscolo involontario, peraltro. Il più piccolo presente nel corpo umano, appena un millimetro. Con un tempo di attivazione di dieci millesimi di secondo. Sembrerà basso, al tuo livello di superficialità. Ma non ti salverà i timpani dalla lacerazione, se nei pressi ti esplode una bomba.
Consigli? tieni la bocca aperta. Probabilmente già lo fai, nel tuo quotidiano, dallo stupore delle migliaja di cose che non ti spieghi. Ma stavolta l'aria che ti entra dalla bocca forzerà l'apertura delle trombe di Eustachio, e ti entrerà nell'orecchio medio, equilibrando la pressione sulle facce interna e sterna del timpano.
Ma soprattutto, fatti più domande. Chiediti ad esempio perché la gente si esploda le bombe nei tuoi pressi.
E allora. Pare dunque che siamo in balìa di qualsiasi tipo di rumore. Peggio ancora: di suoni.
Mi si viene incontro, praticamente ogni giorno, offrendomi tutta una serie di canzoni che accompagnino i vari momenti delle mie giornate.
Se devo comprarmi dei jeans, ecco che da un tronco d'albero posto accanto a un manichino vestito da cowboy scaturisce del country-western. Non ho modo di liberarmi le risorse di sistema per meglio valutare l'opportunità dell'acquisto. Anzi, la fonodiffusione proprio a questo mira.
Poi, coi miei jeans sbagliati, torno a casa in metro. Lungi dal precisarmi le ntità del ritardo dei convogli, gli altoparlanti autotunano voci necrofile di gangsta e sista, che coi miei pur caotici referenti culturali non hanno alcuna intersezione.
Quindi vado in palestra a llenarmi. Non bastano i sudori e le fatiche. Vi si aggiunge della dance commerciale ai cui 120 bpm adeguarmi il cuore, spietatamente spezzettato da casse in quarti ipercompresse. Seghettato acidamente dalla lisergia di crudi riff.
Uscito in qualche modo da queste delizie, devo sbrigarmi a fare la spesa. Mi viene incontro il supermercato, colla sua scelta musicale a corredo dello scatolame che mi trabocca dal carrello. È un tripudio sanremese, con punte di vera poesia Ligabovina o Giovinotta.
Comunque, persino io che colla musica ciò un rapporto di grosso amore - grosso odio, mi infurio, e a volte addirittura non approvo, che della musica si diano per scontate solo alcune funzioni. Spesso, le più surrettizie. Molto poche, rispetto al potenziale che ha.
Per esempio, tanto per citarne una. Nessuno parla mai della funzione orripilante della musica. La musica può essere un ottimo rripilante. Quando vinco la mia pigrizia e metto su pezzi come Surf's up dei Beach Boys, Ladies of the road dei King Crimson, Questione di cellule di Battisti-Mogol, ecco che l'effetto orripilante mi favorisce la rasatura pressoché totale a cui mi sottopongo, meglio di qualsiasi crema idratante o gel da barba.
Inoltre una canzone dovrebbe rivelare. Far cogliere. Suggerire.
Dovrebbe dare una tensione, un buono premio per uscire finalmente dalla propria comfort zone. Un'evasione dal proprio punto di vista.
Io devo essere richiesto, della mia utorizzazione. Anche se hai una buona idea, e ci credo poco, e ritieni di illustrarmela con delle buone intuizioni musicali, e ci spero ancora meno, non pretendere che io sia nel giusto mood. Non puoi darmi per scontato, quale testimone delle tue amorose insensatezze. Specie se di mie ne ho già fin troppe. Non ti approfittare dei tuoi decibel, o di quelli di altri urlatori velleitari che mi emani negli mbienti. Perché io non posso evadere. Oppure non voglio. O non ritengo giusto farlo.
E invece no. Ti approfitti vigliacco delle mie vulnerabilità, e spietatamente mi canzoni.
Questo apparato è fiacco, lacunoso. Come e più di tanti altri che abbiamo in dotazione. Più fallato dell'equipaggiamento di un italiano in Russia nel '43.
Si sta come d'autunno, sui fisici le orecchie. Gettati allo sbaraglio su un pianeta inospitale.
Dal che si evince, a differenza di quanto sostieni nelle tue preghiere più accorate, la natura pigra, frettolosa, irresponsabile o quantomeno crudele del tuo demiurgo.
Ma perché lo paragoni a un verme? Non avrà una forma bellissima, in effetti. L'occhio è di gran lunga più grazioso, o almeno certi occhi. Ma di certo, per quanto buffe siano quelle nervature sul padiglione auricolare, esso non merita una tale esposizione agli eventi sonori.
Quindi tu, e peggio ancora io, non possiamo difenderci in nessun modo da lavori stradali, camion della nettezza urbana che ci svegliano la mattina presto o non ci fanno dormire la sera. Arrotini e coltellai. Traffico stradale. Campane delle chiese.
A te l'incarico di decidere quali di questi siano davvero funzionali. Io, in cuor mio, ho già deciso.
Non ha iridi, l'orecchio, che con la loro contrazione dosino sul timpano la quantità di stimolo. Non può adeguarsi ai posti in cui tu e io lo portiamo a spasso.
Ad esempio, se io passo sotto le finestre di un adolescente costretto a prendere coscienza di sé dai suoi esercizi al pianoforte, piuttosto che dalla TV o da Internet come invece converrebbe, il padiglione mi convoglia quello strimpellare pallido e assorto nel canale uditivo, avido imbuto che non mi perde mai nemmeno una goccia. Da lì l'impulso acustico è trasdotto in segnali elettrosciocchi, con cui il nervo acustico mi pizzica le corde del cervello. Le quali vibrano sul ricordo mai sopito delle mie analoghe torture. Scale maggiori e minori, armoniche e melodiche, Richter & Mercalli. Dai pioli spesso dissestati. Metronomi e sordine. Con l'unico scopo di non farmi troppo rimproverare da insegnanti e genitori, mentre là fuori i miei compagni imparano la vita.
Ecco perché nuotare sott'acqua mi piace. Per ascoltare il silenzio assoluto. Sordo a ogni richiamo di quei nuovi lettori subacquei di audio digitale. Per riappropriarmi del silenzio. Per sentire finalmente l'effetto che fa. Riassaporare la mia possibilità di romperlo, eventualmente solo per una voglia tutta mia.
L'orecchio interno manca del tutto di fonorecettori diversificati che si adeguino alle varietà dell'ambiente in cui si propaga l'onda prima di colpire. Non come la retina oculare, coi suoi coni e bastoncelli che raccolgono gli uni i colori nitidi diurni, i movimenti notturni gli altri, pur sfocati.
Come so queste cose, vuoi sapere? Perché quel giorno del liceo, come in tanti altri, saltai la lezione di biologia e feci sega. Quindi il pomeriggio andai da Alessandra a prendermi gli appunti, che il giorno dopo potevano benissimo interrogarmi. Lei per sommi capi me li riassunse. Poi si sdraiò stancamente sul suo letto, guardandomi. Io invece continuai a guardarle il quaderno coi coni e i bastoncelli, poiché ero un ciccione. Un ciccione miserabile. Ecco perché per tanti altri anni non persi la verginità. Primo, perché non sono distratto come te. Quindi difficile che mi perdo qualcosa. Anzi dovrei stare più attento, perché le rare volte che la perdo, spesso poi quella cosa la ritrovo. Secondo, perché il cervello mi rimugina come e più del ruminante più goloso. Ecco quindi perché coni e bastoncelli mi stanno marcati a fuoco nella corteccia. Perché hanno transennato un bivio fondamentale della mia vita. Inutile starti a dire le volte in cui, su quell'indotto potenziale di coni e bastoncelli, per anni e anni mi ci sia fatto seghe più prosaiche.
In compenso, una delle tre materie che anche quell'estate presi per settembre, era Biologia.
Sembrerebbe totalmente vulnerabile, l'orecchio. Solo un muscolino, a difenderlo. Lo stapedio. Da una certa intensità di suono in poi, la sua contrazione frena la corsa dei tre ossicini, che altrimenti trasmetterebbero amplificata la vibrazione del timpano all'orecchio interno, limitando così la percezione sonora sovrabbondante.
Muscolo involontario, peraltro. Il più piccolo presente nel corpo umano, appena un millimetro. Con un tempo di attivazione di dieci millesimi di secondo. Sembrerà basso, al tuo livello di superficialità. Ma non ti salverà i timpani dalla lacerazione, se nei pressi ti esplode una bomba.
Consigli? tieni la bocca aperta. Probabilmente già lo fai, nel tuo quotidiano, dallo stupore delle migliaja di cose che non ti spieghi. Ma stavolta l'aria che ti entra dalla bocca forzerà l'apertura delle trombe di Eustachio, e ti entrerà nell'orecchio medio, equilibrando la pressione sulle facce interna e sterna del timpano.
Ma soprattutto, fatti più domande. Chiediti ad esempio perché la gente si esploda le bombe nei tuoi pressi.
E allora. Pare dunque che siamo in balìa di qualsiasi tipo di rumore. Peggio ancora: di suoni.
Mi si viene incontro, praticamente ogni giorno, offrendomi tutta una serie di canzoni che accompagnino i vari momenti delle mie giornate.
Se devo comprarmi dei jeans, ecco che da un tronco d'albero posto accanto a un manichino vestito da cowboy scaturisce del country-western. Non ho modo di liberarmi le risorse di sistema per meglio valutare l'opportunità dell'acquisto. Anzi, la fonodiffusione proprio a questo mira.
Poi, coi miei jeans sbagliati, torno a casa in metro. Lungi dal precisarmi le ntità del ritardo dei convogli, gli altoparlanti autotunano voci necrofile di gangsta e sista, che coi miei pur caotici referenti culturali non hanno alcuna intersezione.
Quindi vado in palestra a llenarmi. Non bastano i sudori e le fatiche. Vi si aggiunge della dance commerciale ai cui 120 bpm adeguarmi il cuore, spietatamente spezzettato da casse in quarti ipercompresse. Seghettato acidamente dalla lisergia di crudi riff.
Uscito in qualche modo da queste delizie, devo sbrigarmi a fare la spesa. Mi viene incontro il supermercato, colla sua scelta musicale a corredo dello scatolame che mi trabocca dal carrello. È un tripudio sanremese, con punte di vera poesia Ligabovina o Giovinotta.
Comunque, persino io che colla musica ciò un rapporto di grosso amore - grosso odio, mi infurio, e a volte addirittura non approvo, che della musica si diano per scontate solo alcune funzioni. Spesso, le più surrettizie. Molto poche, rispetto al potenziale che ha.
Per esempio, tanto per citarne una. Nessuno parla mai della funzione orripilante della musica. La musica può essere un ottimo rripilante. Quando vinco la mia pigrizia e metto su pezzi come Surf's up dei Beach Boys, Ladies of the road dei King Crimson, Questione di cellule di Battisti-Mogol, ecco che l'effetto orripilante mi favorisce la rasatura pressoché totale a cui mi sottopongo, meglio di qualsiasi crema idratante o gel da barba.
Inoltre una canzone dovrebbe rivelare. Far cogliere. Suggerire.
Dovrebbe dare una tensione, un buono premio per uscire finalmente dalla propria comfort zone. Un'evasione dal proprio punto di vista.
Io devo essere richiesto, della mia utorizzazione. Anche se hai una buona idea, e ci credo poco, e ritieni di illustrarmela con delle buone intuizioni musicali, e ci spero ancora meno, non pretendere che io sia nel giusto mood. Non puoi darmi per scontato, quale testimone delle tue amorose insensatezze. Specie se di mie ne ho già fin troppe. Non ti approfittare dei tuoi decibel, o di quelli di altri urlatori velleitari che mi emani negli mbienti. Perché io non posso evadere. Oppure non voglio. O non ritengo giusto farlo.
E invece no. Ti approfitti vigliacco delle mie vulnerabilità, e spietatamente mi canzoni.
Questo apparato è fiacco, lacunoso. Come e più di tanti altri che abbiamo in dotazione. Più fallato dell'equipaggiamento di un italiano in Russia nel '43.
Si sta come d'autunno, sui fisici le orecchie. Gettati allo sbaraglio su un pianeta inospitale.
Dal che si evince, a differenza di quanto sostieni nelle tue preghiere più accorate, la natura pigra, frettolosa, irresponsabile o quantomeno crudele del tuo demiurgo.
2. Musica
4 commenti:
Giacchè anche io traggo piacevoli benefici dalla percezione attutita dall'acqua, qualcuno mi ha detto (e già la circostanza che non ricordi chi sia stato toglie autorevolezza all'informazione)che la citata piacevolezza derivi da una sorta di rimembranza della percezione del mondo attraverso il liquido amniotico in cui si è stati immersi. Ma, insomma, la spiegazione potrebbe anche lasciare il tempo che trova.
Un po' come il fumare quale prolungamento (argh) del capezzolo materno (bleah).
Un po' come tante altre stronzate create al fine di giustificare, spiegare o legittimare una reazione ad un disagio, senza voler dire che, semplicemente, si tratta di una plausibile reazione ad un disagio (in questo caso quello uditivo, che può comprendere l'insieme di suoni fastidiosi o l'insieme di parole ascoltate da non voler più ascoltare).
Per favore, potresti scrivere più spesso? Grazie.
A me veramente suonano juste entrambe le teorie matriottiche, liquidi amniotici e capezzoli prolungabili.
Specie questi ultimi (bleargh) tendo a focalizzarli spesso, per vedere se la voglia di rismettere di fumare mi torna prima di altri 15 anni.
Quanto allo scrivere, mi diverte sempre tanto, e non manco mai di farlo ogni volta che mi viene in mente una cosa.
Posta un commento