martedì 18 giugno 2013

Mal di ali.





















1. Parole



I motivi per cui sono qui, com'è vidente, sono vasti e ancor più vari; ma soprattutto, poco meno che noiosi.

Traumi infantili? No, non mi sembra. O almeno, non che io ricordi. Le cose solite.

Un rapporto conflittuale con la madre, che poi tendo a ricrearmi nella coppia, per tentare di dargli alfine un lieto fine. Mi scordo puntualmente che è impossibile, da dentro un rapporto che si vuole paritario. Mi sconvolge di esserne, da un punto razionale, consapevole. Se all'orizzonte c'è il miraggio dello scambio affettivo, ci casco dentro come il peggiore degli assetati stronzi.
 
L'incapacità di privilegiare la realizzazione di me, piuttosto che delle mie pigrizie.
 
L'averla in qualche modo sempre fatta franca.

Ma queste non sono che facce di un poliedro più complesso.

Il poliedro che mi disarciona puntualmente nasce dall'obbligo che ho assolto, evidentemente male, di farmi da figlio a gente. Da cardine di attenzioni a comparsa periferica. Io sono figlio, e lo rimango. Non solo per coerenza genetica. Ma perché acquisto informazioni dai miei sensi. Che sono solo miei. Perché le elaboro con un cervello tutto mio. Ciò mi rende  velleitario agli occhi di altri. Quando invece, se ho fatto un buon lavoro, mi sembra di esser fiero della mia oggettività. Sono figlio perché me ne resta l'indole infantile. È sano? è malato? Non lo so. Di certo, di me infante, conservo inalterati slanci generosi e indifferenze crudeli. Si cambia, con l'età? lo si fa davvero? secondo me, no. Certo m'impressiono, quando guardo le puntate dei cartoni che vedevo da bambino. Le stesse sensazioni, affardellate dall'inumana o troppo umana quantità di tempo che è passato, di nesperienze fatte. E che mi ha solo suggerito modi e trucchi per urbanizzarmi, regolarmi per essere sociale. Ma, dietro questi, rimango me.

Trovo la gente orribile. La guardo mentre aspetta i miei autobus, mentre compra o solo guarda quasi le stesse merci che guardo o compro io, quando si scopre col caldo e si protegge dal freddo, sembrando copiare i miei costumi. La maggior parte è brutta. Fronti basse, teste piatte, spalle scoscese. Varici sul viso, niente stile nel vestire, attenzioni decadute nella buca di potenziale del proprio cellulare.

Avviene ben di rado che la gente m'interessi. Per proporzioni armoniche. Per l'involucro che tradisce i contenuti – e, no, non sono lombrosiano. Per interessi a loro volta interessanti.
Allora con quelle genti interessanti nascono difficoltà, da fronteggiare. La mia invadenza possibile, e il  rischio di farsela scappare. E in mezzo il bilico, che dà vertigini. Divergenze e incomprensioni. Pazienti “inculate date e prese”. L'urgenza di alcune convergenze, e l'impeto distruttore che ne deriva. Il timore di una fatica che poi risulti vana, per incapacità proprie o per abbagli nella stima; e quindi la rinuncia, spesso preventiva.

Me ne sono accorto qualche anno fa.
Come al solito volavo verso soli che avevo sempre percepito raggiungibili. Sintomi vaghi, ma non irrilevanti. Ho iniziato a coglierli. Fastidi locali, piccoli disagi, tensioni tenui eppure persistenti.
A differenza dell'indole, il corpo muta. I tessuti cambiano, per usura o invecchiamento. Si irrigidiscono, callificano, si sfibrano. La cera, che pure aveva tenuto fino a llora, non riesce più a tenerli coesi. Lo sappiamo bene noi, sempre presenti ai nostri allenamenti. Da giovani per recuperare da qualsiasi trauma basta una buona notte di sonno. O almeno questo sembra, perché invece corpo e cervello gareggiano per serbarne traccia, presentando il conto in un primo volo malato, in cui il segnale premonitore si farà, da allora, permanente.

La fatica di lavorare. Di lavarsi, radersi, nutrirsi. La noia intollerabile di funzionare e basta. Le somatizzazioni.

Ma non è niente. Io sto bene. Questo divano, piuttosto, su cui sono sdraiato. È di pelle, no? L'ex-occupante di questa pelle, lui si che ne ha, di rogne. Uno dovrebbe commuoversi, a pensarci. Io al confronto sono un privilegiato.

L'unica è imparare i nuovi ritmi. Riconoscere gli avvisi. Recuperare il giusto. Fare molto, ma molto, allungamento muscolare.

È per questo che sono qui. Lei può allungarmi i muscoli? È un muscolo, il cervello? Volontario, nel caso, o involontario, per quanto m'illuda di sapermene avvalere? che dice la sua Scienza?
E soprattutto: la cura psichica, i farmaci prescritti, l'accanimento terapeutico cui lei mi sottoporrà, sono mutuabili, Dottore?



2. Musica




venerdì 24 maggio 2013

Troppe canzoni.



















1. Parole



L'orecchio non ha palpebre. È completamente nudo. Nudo come un verme, diresti tu, sempre propenso alla metafora stantia.
Ma perché lo paragoni a un verme? Non avrà una forma bellissima, in effetti. L'occhio è di gran lunga più grazioso, o almeno certi occhi. Ma di certo, per quanto buffe siano quelle nervature sul padiglione auricolare, esso non merita una tale esposizione agli eventi sonori.

Quindi tu, e peggio ancora io, non possiamo difenderci in nessun modo da lavori stradali, camion della nettezza urbana che ci svegliano la mattina presto o non ci fanno dormire la sera. Arrotini e coltellai. Traffico stradale. Campane delle chiese.
A te l'incarico di decidere quali di questi siano davvero funzionali. Io, in cuor mio, ho già deciso.

Non ha iridi, l'orecchio, che con la loro contrazione dosino sul timpano la quantità di stimolo. Non può adeguarsi ai posti in cui tu e io lo portiamo a spasso.
Ad esempio, se io passo sotto le finestre di un adolescente costretto a prendere coscienza di sé dai suoi esercizi al pianoforte, piuttosto che dalla TV o da Internet come invece converrebbe, il padiglione mi convoglia quello strimpellare pallido e assorto nel canale uditivo, avido imbuto che non mi perde mai nemmeno una goccia. Da lì l'impulso acustico è trasdotto in segnali elettrosciocchi, con cui il nervo acustico mi pizzica le corde del cervello. Le quali vibrano sul ricordo mai sopito delle mie analoghe torture. Scale maggiori e minori, armoniche e melodiche, Richter & Mercalli. Dai pioli spesso dissestati. Metronomi e sordine. Con l'unico scopo di non farmi troppo rimproverare da insegnanti e genitori, mentre là fuori i miei compagni imparano la vita.

Ecco perché nuotare sott'acqua mi piace. Per ascoltare il silenzio assoluto. Sordo a ogni richiamo di quei nuovi lettori subacquei di audio digitale. Per riappropriarmi del silenzio. Per sentire finalmente l'effetto che fa. Riassaporare la mia possibilità di romperlo, eventualmente solo per una voglia tutta mia.

L'orecchio interno manca del tutto di fonorecettori diversificati che si adeguino alle varietà dell'ambiente in cui si propaga l'onda prima di colpire. Non come la retina oculare, coi suoi coni e bastoncelli che raccolgono
gli uni i colori nitidi diurni, i movimenti notturni gli altri, pur sfocati.

Come so queste cose, vuoi sapere? Perché quel giorno del liceo, come in tanti altri, saltai la lezione di biologia e feci sega. Quindi il pomeriggio andai da Alessandra a prendermi gli appunti, che il giorno dopo potevano benissimo interrogarmi. Lei per sommi capi me li riassunse. Poi si sdraiò stancamente sul suo letto, guardandomi. Io invece continuai a guardarle il quaderno coi coni e i bastoncelli, poiché ero un ciccione. Un ciccione miserabile. Ecco perché per tanti altri anni non persi la verginità. Primo, perché non sono distratto come te. Quindi difficile che mi perdo qualcosa. Anzi dovrei stare più attento, perché le rare volte che la perdo, spesso poi quella cosa la ritrovo. Secondo, perché il cervello mi rimugina come e più del ruminante più goloso. Ecco quindi perché coni e bastoncelli mi stanno marcati a fuoco nella corteccia. Perché hanno transennato un bivio fondamentale della mia vita. Inutile starti a dire le volte in cui, su quell'indotto potenziale di coni e bastoncelli, per anni e anni mi ci sia fatto seghe
più prosaiche.

In compenso, una delle tre materie che
anche quell'estate presi per settembre, era Biologia.

Sembrerebbe totalmente vulnerabile, l'orecchio. Solo un muscolino, a difenderlo. Lo stapedio. Da una certa intensità di suono in poi, la sua contrazione frena la corsa dei tre ossicini, che altrimenti  trasmetterebbero amplificata la vibrazione del timpano all'orecchio interno, limitando così la percezione sonora sovrabbondante.
Muscolo involontario, peraltro. Il più piccolo presente nel corpo umano, appena un millimetro. Con un tempo di attivazione di dieci millesimi di secondo. Sembrerà basso, al tuo livello di superficialità. Ma non ti salverà i timpani dalla lacerazione, se nei pressi ti esplode una bomba.

Consigli? tieni la bocca aperta. Probabilmente già lo fai, nel tuo quotidiano, dallo stupore delle migliaja di cose che non ti spieghi. Ma stavolta l'aria che ti entra dalla bocca forzerà l'apertura delle trombe di Eustachio, e ti entrerà nell'orecchio medio, equilibrando la pressione sulle facce interna e sterna del timpano.
Ma soprattutto, fatti più domande. Chiediti ad esempio perché la gente si esploda le bombe nei tuoi pressi.

E allora. Pare dunque che siamo in balìa di qualsiasi tipo di rumore. Peggio ancora: di suoni.
Mi si viene incontro, praticamente ogni giorno, offrendomi tutta una serie di canzoni che accompagnino i vari momenti delle mie giornate.

Se devo comprarmi dei jeans, ecco che da un tronco d'albero posto accanto a un manichino vestito da cowboy scaturisce del country-western. Non ho modo di liberarmi le risorse di sistema per meglio valutare l'opportunità dell'acquisto. Anzi,
la fonodiffusione proprio a questo mira.

Poi, coi miei jeans sbagliati, torno a casa in metro. Lungi dal precisarmi le ntità del ritardo dei convogli, gli altoparlanti autotunano voci necrofile di gangsta e sista, che coi miei pur caotici referenti culturali non hanno alcuna intersezione.

Quindi vado in palestra a llenarmi. Non bastano i sudori e le fatiche. Vi si aggiunge della dance commerciale ai cui 120 bpm adeguarmi il cuore, spietatamente spezzettato da casse in quarti ipercompresse. Seghettato acidamente dalla lisergia di crudi riff.

Uscito in qualche modo da queste delizie, devo sbrigarmi a fare la spesa. Mi viene incontro il supermercato, colla sua scelta musicale a corredo dello scatolame che mi trabocca dal carrello. È un tripudio sanremese, con punte di vera poesia Ligabovina o Giovinotta.


Comunque, persino io che colla musica ciò un rapporto di grosso amore - grosso odio, mi infurio, e a volte addirittura non approvo, che della musica si diano per scontate solo alcune funzioni. Spesso, le più surrettizie. Molto poche, rispetto al potenziale che ha.

Per esempio, tanto per citarne una. Nessuno parla mai della funzione orripilante della musica. La musica può essere un ottimo rripilante. Quando vinco la mia pigrizia e metto su pezzi come Surf's up dei Beach Boys, Ladies of the road dei King Crimson, Questione di cellule di Battisti-Mogol, ecco che l'effetto orripilante mi favorisce la rasatura pressoché totale a cui mi sottopongo, meglio di qualsiasi crema idratante o gel da barba.



Inoltre una canzone dovrebbe rivelare. Far cogliere. Suggerire.
Dovrebbe dare una tensione, un buono premio per uscire finalmente dalla propria comfort zone. Un'evasione dal proprio punto di vista.


Io devo essere richiesto, della mia utorizzazione. Anche se hai una buona idea, e ci credo poco, e ritieni di illustrarmela con delle buone intuizioni musicali, e ci spero ancora meno, non pretendere che io sia nel giusto mood. Non puoi darmi per scontato, quale testimone delle tue
amorose insensatezze. Specie se di mie ne ho già fin troppe. Non ti approfittare dei tuoi decibel, o di quelli di altri urlatori velleitari che mi emani negli mbienti. Perché io non posso evadere. Oppure non voglio. O non ritengo giusto farlo.

E invece no. Ti approfitti vigliacco delle mie vulnerabilità, e spietatamente mi canzoni.

Questo apparato è fiacco, lacunoso. Come e più di tanti altri che abbiamo in dotazione. Più fallato dell'equipaggiamento di un italiano in Russia nel '43.
Si sta come d'autunno, sui fisici le orecchie. Gettati allo sbaraglio su un pianeta inospitale.

Dal che si evince, a differenza di quanto sostieni nelle tue preghiere più accorate, la natura pigra, frettolosa, irresponsabile o quantomeno crudele del tuo demiurgo.



2. Musica





lunedì 2 luglio 2012

Eravamo

io, Giovanni Rana e Giosuè Carducci, a girare per la città.

Questo aumentava la mia confusione, io ho sempre scambiato Giosuè Carducci non con Giovanni Rana ma Pascoli. Eppure ci voleva poco a decidere di concentrarsi una volta per tutte e inventarsi una mnemotecnica per ricordare quale dei due fosse quello
incazzoso, e quale invece quello placido, gioviale e contemplativo delle Cavalline Stornellate.

In più, a confondermi definitivamente, c'era Giovanni Rana invece di Giovanni Pascoli. Ti avverto, non ho la più pallida idea di dove io stia per andare a parare. Per rompere l'imbarazzo, a un certo punto decido di dire una carineria a ciascuno dei due. Mi giro verso Giovanni Rana e gli fò: “A Giovà, ma lo sai che a pensacce bene ciai avuto proprio na bella idea, o chi pe' tte? A fà er testimonial de te stesso ce risparmi, e impiù,  bello pacioccone come sei, rassicuri la massaja. Prima pensavo Ma chi je lo fa fa, a Giovanni Rana, de mettese a imparà recitazione, dizione, cerone all'età sua; poi invece t'ò capito, e se tte devo dì la mia, hai fatto proprio bene.”

Poi, rivolto a Giosuè Carducci. Certo non gli posso dire Ti confondo sempre con quell'altro, così antiteticamente diverso da te. Io Giosuè Carducci in fondo lo temo perché mi sa che al liceo un artificio mnemotecnico me l'ero inventato. Carducci cià le spine tipo cardo, è'n fijodenamignotta che se non stai attento puncica. Pascoli è quello bovinamente
fregnone come vuole il cognome.
Ma era proprio così? non è che alla fine di questo ragionamento dovevo aggiungere Però è l'esatto contrario?

Quindi spengo quello sguardo gigione con cui apostrofavo il peggior terrore di ricotte & spinaci, e mi faccio serio. “Giosuè, la tua prossimità m'induce ricordi. Io alla Maturità portavo Storia e Italiano, più per esclusione che per passione vera. Infatti le alternative erano Greco e Geografia Astronomica. Il mio Greco, a  parte il V ginnasio in cui il rischio di ritrovarmelo a settembre m'aveva fatto prendere delle ripetizioni cazzutissime, se posso dire Cazzutissime di fronte a uno” (qualunque dei due fosse) “
che occupava 3 pag. del libro di Letteratura Italiana, dicevo il mio Greco nei 3 anni di liceo si è estinto ad opera di 1 professore che non insegnava mai niente. Dire la mia Geografia Astronomica m'incriminerebbe di appropriazione indebita anche oggi, quando se non fosse per una lettura sistematica di Asimov in corso d'opera, potrei benissimo scambiarla per Geologia Gastronomica o Geometria Ansiolitica.”

“Quindi che dovevo fare, Giosuè? Calcola che per ragionamenti simili tutti portavano Storia e Italiano. La prima materia non potevano cambiartela, ma la seconda sì. E non mi garantiva certo l'aver scelto Storia per seconda, ovvero quella un pelino meno gettonata. Però era pur vero che non avevo manco idea dei votacci fetidi con cui mi avevano portato nelle altre due e in tutte le materie scientifiche in genere, e infatti poi spiritosamente mi sono iscritto a Ingegneria, mentre in Storia e Italiano avevo due stranissimi 7. Quindi non ti preoccupà per me Giosuè, e continua a starmi a sentire.”

“Del tempo che mi riservavo per iniziare a studiare per l'orale, alla fine occupo un ε piccolo a piacere mio. Bisogna ottimizzare, e la pigrizia mi rende
spesso algoritmico. Dell'Italiano studierò le sole vite e critiche degli autori. Sul Paradiso ciò scritto a matita delle note piccolissime e nascostissime. Se mi chiedono le opere, io leggo e imbastisco, e se so vita & critiche qualcosa me la invento.”

“Storia è già più un problema. Ciò l'alibi che alla II guerra mondiale si sa, i programmi in Italia quasi non arrivano mai. Poi ho gli appunti dEr Sorcio, dettati da lui medesimo tutto l'anno; già solo il fatto di averli scritti io di mio pugno, fa scattare tutta una serie di memorie visive.
Il tema faccio quello di attualità che non mi ferma nessuno, e alla versione di Latino me la gioco, se è vero che mia madre mi ha fatto arrivare al ginnasio che già sapevo declinazioni e coniugazioni, e al liceo quasi lo parlavo, con tutto che quel trojone della C. in I è riuscita non si sa come a darmelo a settembre.

“Insomma Giosuè, parto flemmaticamente a studiare dal Congresso di Vienna (1815, ma tu ricorderai meglio di me), e arrivato a metà mi rendo conto che mancano 3 gg. al mio orale. La mia lettera, di cui il mio cognome è l'unico esponente, è stata estratta per prima.
Cosa fare? Ho un'idea. Prendo i libri delle medie di mia madre, studio lì. Così se ne va il I giorno & mezzo dei 3 residui, ma a me di quel secolo scarso su cui a ben vedere ero chiamato a deporre, mancavano ancora due terzi buoni.”

“Giosuè, Giosuè. Mi vergogno a dirlo, ma considerando che dovevo lasciarmi lo spaziotempo di almeno mezza giornata per un vanissimo ripassone finale, all'epoca presi la decisione di prepararmi il resto sui riassunti di fine capitolo. Di un libro di III media. Non fare quella faccia Giosuè” (ma quale? non mi giravo mai a guardarlo in faccia, e io non sono uno di quei tipi come il Riccioletto che quando ti raccontano una cosa cercano di assicurarsi la tua preziosissima attenzione dandoti quegli odiosi colpetti sui fianchi. Perché non lo guardavo? Penso che fosse perché temevo di incappare nel fiero suo cipiglio, qualora spinosamente Carduccio, e ancor più di scorgere lo sguardo acquoso del ruminante al Pascolo – niente di peggio di raccontare un aneddoto che tanto ci appassiona a un interlocutore insulso.)


“Arriva il giorno.
La mia versione ha preso 7, ciò che mi sorprende è il tema: 5. La traccia che dovevo sviluppare chiedeva tipo se fosse possibile che l'uomo potesse un giorno diventare una macchina, e se il mio svolgimento traboccante di retorica adolescenziale meritava il 5 che ebbe, i ministeriali che proposero e lasciarono passare un argomento così cretino avrebbero dovuto essere valutati in codice binario, a 1 bit. Può una lucciola divenire lanterna? Può un dito finire arcùlo? La retorica adolescenziale è ben più di quel che mai meriterai, coglione.
Scusami il turpiloquio Giosuè, ammazza me piasce 1 sacco chiamarti Giosuè, me sembra la tronca di Giosuèppe, arf arf, Gioesù-Giosuepp&Morìa, ma un po' più di rispetto non guasta, ehm.
Io lo so che la Maturità ai tempi tuoi era una cosa seria e che non potevi prendere la patente fino a 21 anni, anche se però a te al cinema ti facevano fumare. Però, per uno ammesso a maggioranza come me, ovvero con delle insufficienze in varie materie (per lo più scientifiche), le prove orali sarebbero state determinanti – anche se alla fine mi salvarono coi loro 36 i raccomandati da bocciare, avanzandomi all'austero risultato di Quaranta Sessantesimi.”

“Insomma mi siedo. Inizio dalla Prima Materia: Italiano.
Senza falsa modestia, gioco in casa. È una lingua che volente o nolente mastico da 18 anni, ho letto un sacco di riduzioni dei Classici di quelle con Paperino o Topolino e anche tanti libri ma quelli non valgono come preparazione perché letti per diletto. Più che altro sono fiero del mio algoritmo. Chiedimi pure quello che vuoi, baffone di mezza età che mi interroghi: con un po' di Vite e un pizzico di Critiche, io ti reggo botta fino alla fine.”

Parliamo delLa Pentecoste, di Alessandro Manzoni. Capito Giosuè? si era tradito! se non me ne avesse rivelato l'autore, forse non l'avrei neanche saputa trovare sull'antologia! Quello era senz'altro un bug del mio algoritmo, ma mi era andata bene e adesso è inutile star qui a piangere sul latte versatile, anche perché c'è ben altro.”

“Sì, allora, un attimo che la cerco. Nel frattempo mi dica pure cos'è la Pentecoste, nella tradizione cattolica.

“Ahah Giosuè, penso io, ma questo è uno scherzo! Questi non sanno che io per 16 anni sono stato lo zimbello virtuoso di una freca di suore e catechisti, e che nel mio zelo spaccato ho letto la Bibbia varie volte, e che ho salito la Scala Santa sui miei stessi ginocchi e che in certi anni a Maggio, il famoso Mese della madonna, come da precetto andavo a messa pure di venerdì. Ora io perdio a questo lo scherzerò ben bene.
Ma Giosuè, giunto a quel punto sopravviene in effetti una domanda."

"Cos'è la Pentecoste?"

"Cioè capisci Giosuè, cosa cazzoera Lapentecoste? Noto con paura crescente che al volo non mi viene, e ho paura di dedicare tutte le risorse al quesito poiché so per esperienza che quando cerco di ricordarmi una cosa che lì per lì non mi viene, più mi ci sforzo più mi sfugge.
Ma questa è diversa, Giosuè. Io non è che non mi ricordo cosasiaLapentecoste, nella merdizione cattolica; io proprio temo di non averlo mai saputo. E questo non è giusto, Giosuè! per 16 anni ho servito quel buffone come un allocco, e quello nel frattempo mi preparava questo bel tranello, quel figlio ossimorico di Mignotta Semprevergine.”

“In più, ho poche frazioni di secondo prima che la mia esitazione sia palese, e io malcominci la mia opera non vedendone più la sua metà manco col binocolo. Ho deciso: farò ricorso all'etimologia. Penta in greco non vuol dire cinque? Qualcosa c'entrerà. Chi cazzomai erano in cinque? la Banda dei 5 di Elisabetta Viviani? i 5 sensi? i 5 continenti? I 5 peccati capitali, le 5 virtù teologali, i 5 comandamenti, i 5 apostoli, i 5 evangelisti? E invece se penso a Lapentecoste mi vengono in mente solo delle polo coi coccodrillini sopra.”

“Nessuno, Giosuè. Nessuno nella catechesi era mai in cinque. Tutti si riunivano o in di più, oppure giravano in di meno.
Perciò, per me è giuocoforza arrendermi.”

Non lo so."

"Nello sguardo del Baffone si spegne la routine, mentre in lui si anima la Vera sorpresa.
Mi guarda, e quegli occhi stupiti sono l'ultima cosa che mi ricordo del mio mediocrissimo Orale della Maturità. E questo stato di ncoscienza non aiutò certo la mia performance.”

“Cioè hai capito Giosuè? io, così sempre cattolico, arf arf, fregato dalla Pentecoste? A Giosuè, ma alla fine tu lo sai checcazzo era la Pentecoste? Ma tu ce l'ahi mai avuto un baffone tutto tuo che a un certo punto ti ha detto È la calata dello Spirito Santo sugli Apostoli, dopo la Krocifissione del Kristo? Scommetto che tu lo sapevi, Giosuè! L'hai sempre saputo tu eh, li mortacci tui?”, e nel dirlo gli assesto un'amichevole pacca sulla spalla, a dire il vero neanche troppo piano.

Non saprò mai, da un sorriso benevolo o uno sguardo corrucciato, quale dei due ei fosse.
Fatto sta che, o Giosuè Carducci o Giovanni Pascoli fece una cosa che mi stupì tantissimo.
Senza guardarmi, sputò in terra. Girandosi un poco verso di me, vicinissimo alla mia scarpa. Senza naturalmente che io potessi scorgerne l'ebete spressione o il fiero sguardo.

È inutile che vado a chic-boxing se poi non so soppesare la violenza. Come leggere l'accadimento? È un segno di fastidio per l'imposizione di un racconto noioso? ma chi t'ha imposto niente, coglione? O una maleducata provocazione nei miei confronti, a cui dovrei reagire?
O magari un gesto perfettamente normale, per un cittadino dei tempi in cui a ogni angolo fiorivano le sputacchiere. Ma a me lo sputo, tranne che di ragazza piacente e specie se di vecchio, mi fa schifo. E questo qui, chiunque sia, vecchio è vecchio, se me lo mettono sull'Antologia. “A Giova' (il Rana), ma hai visto sto stronzo ch'affatto? me stava a scatarrà sulla scarpa, me stava! Io je spacco er culo, nun me frega niente che ai tempi suoi la scuola era n'artra cosa, e che lui alla Maturità portava tutte le materie, e lui qua e lui là: a stronzo! Le odi barbare, Le odi barbare? io nun ne odo manco mezza, cérchetele da te a ste Barbare! Je spacco er culo, a lui e a te, st'altro cazzo de tortellone rancido, ma checciài da guardà eh, checciài? E invece st'artro, m'avesse mai guardato negli occhi na volta, sto mezzo uomo, te senti forte a campeggià sui libbri cogli amici tua, eh? vojo vedé che fai, qua in mezzo alla strada, senza
bidelli e professori che sse mettono in mezzo. Perché sapete tutto voi, non è vero? sai tutto tu, eh? La Pentecoste. Na cosa che non solo nun serve a'n cazzo, ma quello ce scrive pure la poesia, ce scrive. E poi che fai? Sali in piedi sulla sedia, e a natale ja'a dici a ttu madre pe ddù mandarini? vojo vedé che ce fai co dù mandarini, quando io co na Primacomunione scrausa ce svortavo armeno un Daitarntré di ferro e plastica. La Primacomunione! La Cresima! queste sò feste, no tte. Altro che le Pentecosti tua! Perché strigni strigni, haivoja a pontificà, a spoetazzà; ma la vera Maturità dell'individuo non si misura colla capacità di ripetere le cose altrui volute. Perché è così che si predispongono generazioni di somari veri, di quelli che tirano la soma senza mai protestare. È questo che vogliono da noi, che impariamo i loro catechismi, e allora e solo allora saremo noi maturi, e potremo guidare le loro macchine, e comprare le loro benzine, e mangiare i loro mandarini, ed è così che alfine l'Uomo si fa Macchina e poi ai temi di attualità piglia Cinque non azzeccando la risposta esatta, e insomma Giosuè, ecco che ti volevo dire – a maggior ragione se alla fine eri Giovanni Pascoli, è o non è buona quest'erba."
 

martedì 1 maggio 2012

InNaturità.

Già una volta ti dicevo del mio Non voler essere mai nato.
Quella è stata l'unica volta che l'ho esternato socialmente, ed ero rimasto molto sorpreso dal clamore dell'insuccesso sociale che quell'esternazione mi comportava.

Come pure ero tutto un fremito di emozioni, quando al liceo avevo letto per la prima volta dell'episodio mitologico in cui non ricordo quale entità trascendente, messa alle strette da un impertinente umano a cui doveva un favore, richiesta di quali fossero le due cose di cui l'uomo dovesse primariamente necessitare, rispose stizzita “non essere mai nati” e “morire pochi istanti dopo la nascita”. Già all'epoca incredulo a qualsivoglia questione mitologica, avevo provato un piacere singèro nel leggere che qualcuno nel passato, come l'estensore di questa favoletta, aveva condiviso le mie perplessità al riguardo del Voler sempre nascere.

Ma tu non mi scocciare con frasi cioccolatinose quali “la vita è 1 kosa meravigliosa”, o “il mirakolo della vita”, che pure mi è capitato di sentire. So da me quanto possa essere divertente questa madornale sciocchezza del Vivere. Non c'è mai il lieto fine, però certi giornaletti sono davvero appassionanti, come pure certe sigarette, e se mi ci metto di cose potrei sicuramente trovarne altre; quindi lasciami perdere colle tue banalità. Madonna, ora che mi ricordo quelle frasi le ho sentite veramente. Mortacci loro. Mortacciacci loro. Ma quelle volte erano più discussioni teologiche generiche, mi sa. Dire che tu, senza trincerarti dietro i Max. Sistemy, Non vuoi mai nascere, dovrai ammettere che è molto più intimo e imbarazzante.

Adesso a dire il vero pensavo a un episodio specifico. Il mio pervicace Non voler mai nascere l'avevo esplicitato almeno un'altra volta, tanto tempo fa. Me ne sono ricordato ultimamente, narrando l'aneddoto a una che per sua stessa ammissione è una G.D. (Giovane Donna), in un carteggio in cui si parlava delle perplessità reciproche nel festeggiare i compleanni. Cosa che ora mi accingo a fare anche con te, per quanto m'imbarazzi scrivere due volte la stessa cosa perché se Paganini non ripete, perché mai dovrei farlo io?

Però dai, mi fai pena, magari stai lì alla finestra a uggiolare al maltempo in questo uggioso I maggio, e sapere che c'è qualcuno al mondo così ostinato nel suo Non voler mai nascere, ti fa sentire meno solo. So bene quanto a volte si possa essere meschini. Aggiusterò giusto qualcosa qua e là, per fezionare l'aneddoto e proteggere l'anonimato della G. D. e di altre persone fisiche eventualmente coinvolte.

~~~


“ […] Ho 18 anni, sono da poco majjorN e la Patria già reclama i miei servigi scegliendo fra alcuni altri me quale strenuo difensore dal Nemico, previa sottoposizione a un lunghissimo test.

Il test in questione è quello rinomato dei Tre Giorni, mirabilmente cantato dai Bluvertigo di Fuori dal tempo. Tu non lo puoi sapere in quanto Giovane & Donna, come non manchi mai di rimarcarmi; ma le donne pare che la Patria non le reputi opportune, nella difesa dal Nemico. Forse ritiene che egli, il Nemico, non appena le veda si metta a ridere, o magari venga preso da impulsi ben più torbidi, non so. In fondo il Nemico sarà giustamente 1 bel fijodenamignotta. In più tu ti salvi anche nelle tue qualità di jovine, visto che da qualche anno la Patria ha capitolato rinunciando pessempre alla procedura di alLevare pefforza anche G. U. (Giovani Uomini), e io mi chiedo come faremmo di fronte al Nemico in questi attimi di crisi. Io se fossi Il Nemico non mi parrebbe vero di poter approfittare di attimi simili.

In questo test dei Tre giorni (tale la sua durata) c'erano delle domande facilissime, tipo Sento delle voci, Me piàsciono i fiori ecc, tutte cose da barrare su falso, roba che anche per una Jovane Donna prenderci un punteggio alto sarebbe un gioco da ragazze. Certamente la Patria non può affidare la propria tutela a uno che si distrae come vede 1 margherita, o magari mentre scavalca a grandi balzi le trincee mulinando la bajonetta e urlando “maledetto inimico, finalmente ti ò in pugno, adesso ti faccio vedere io” e cose del genere, invece si gira perché gli sembrava che qualcuno lo stesse chiamando, e dopo sono cavoli suoi. Ma ce n'erano anche di più difficili. Io per esempio sono stato molto su Non vorrei essere mai nato.

Beh, si può essere ipocriti al cospetto della Patria, mentre Ella ci guarda? io dico no, e barro vero, cioè battendomi il petto dichiaro che in effetti se mi dessero finalmente l'opportunità di scegliere, preferirei non essere mai nato né farlo mai.

Il giorno dopo, mentre sono alle prese con altre visite mediche, viene letto un elenco di nominativi che dovranno sottoporsi a un Collaudo Psicologico. Io sono tra quelli.
Ahahah, sogghigno furbastro assaporandomi a voce alta le parole coLLaudo psicologico facendo roteare bene le due L, per farti capire colla lingua che batte sul palato molto più dietro, lontano dai denti, madonna quando penso a queste cose che uno può fare ma non può vedersi gli apparati fonatori mentre le fa, mi viene più angoscia che essere sepolto vivo.

Insomma, al mio turno entro in questa stanza dove un medico dell'esercito mi squadra bonario ma serio. Prudentemente, inizia a farmi domande generiche. Io non resisto, Dottore ma perché sono stato mandato al CoLLaudo Psicologico, e lui dopo un attimo di esitazione mi dice che È per quella del Non voler essere mai nati. Ma perché io vorrei così tanto Non essere mai nato, mi chiede.
Ah quella, faccio io ridendo, No niente, è una cosa filosofica. Boh, insomma, si vede che la Filosofia mi salva facendomi abile & arruolato, e io quindi 10 anni dopo, esauriti i miei acrobatici rinvii a Ingegneria, posso finalmente Obiettare che alla difesa della patria preferisco farmi persino 10 mesi di fotocopie gratis all'ARCI Nazionale - Ufficio Musica, Cultura e Spettacolo.

~~~

Ora io dico: non è 1 bell'aneddoto? C'è solo una cosa che non mi convince, ed è che non è successo a me, ma a Karl The Dancer, mio ottimo compagno di classe nato ahilui 1 mese prima di me, quindi io giunto al bivio di quella domanda e sapendo come andava a finire, ho ba(r)rato falso.

Mi ha forse rubato, Karl The Dancer, una importante parte di Destino? ma no, meglio così, io all'epoca non ero che un cicciottello capelluto, senza la classe di quel mio magnifico compagno di classe (ah, i prodigi del classismo), necessaria per sostenere la mia parte sino in fondo [...]”

domenica 4 settembre 2011

La lampada di Asterione










"Un altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero."
 

Jorge Luis Borges, L'Aleph.





1 - Parole.




Non invidiarmi.

Non invidiare la mia casa, accogliente e ordinata. I maligni la dicono piccola; ma piccola rispetto a cosa, o a chi?
Non certo piccola rispetto a me. Non più di quanto sia la conchiglia per il paguro o il carapace per la testuggine. Se io cresco, la mia casa cresce con me. Oppure, se mi va, posso cambiarla. A piacimento solo mio.
Posso lasciarla austera, se il mio umore vuole, o glorificarmi nel più meraviglioso dei palazzi. Posso variarne la forma come il più pazzo o incosciente degli architetti non potrà mai. Libero dalle regole della statica da cui tu ti lasci soggiogare. I miei detrattori insinuano che io non ne sia capace, sostenendo che nessuno abbia mai potuto osservarne le modifiche.
Ma, che modifiche? Questa, di casa, preferisco. Non provo alcun bisogno, né ricordo di averne mai provato, di ostentare le mie capacità.

Non invidiare neanche quelle. Anche se so bene quanto magnifiche
siano. Ricordo quando mi accorgevo di ciò che posso fare. La mie azioni mi erano normali, ma ne vedevo la grandezza nella meraviglia di chi le osservava. Dunque le allenavo, mi potenziavo, miglioravo. Perché, t'indovino a chiedermi, quando sostengo l'effimero di tutte le cose?
Perché ho pensato di saper compiere cose stupefacenti. Le mie imprese destarono ammirazione, nonché l'invidia che ora chiedo a te di non provare. Ho pensato per un istante che quello potesse essere il mio appagamento, e il mio destino. Attraverso le mie gesta e le mie opere potevo ottenere non tanto glorie e onori, frammenti spiccioli di eternità; quanto ciò che pure a lungo mi stette più a cuore.
L'approvazione. Totale, definitiva, priva di dubbi. La sensazione di sentirmi completamente approvato, più che ammirato. Lo ammetto: in altri tempi mi è stata vitale. L'ammirazione non è che una patina. Ciò che più conta è l'approvazione, e io nella mia vita certamente ne sono stato oggetto.

Ma tu non invidiare neanche questo. Non farlo mai, per quanto possa inebriarti l'approvazione altrui, o per quanto ti inebri la sua mera ricerca. Perché quando la trovi, e ne sei appagato, non puoi non chiederti chi abbia conferito
a chi ti approva l'autorità di approvarti.
Chi sono, questi avventori? cosa sanno della tua arte? cosa credono di comprendere, della tua vena? Da loro non voglio premi di latta e
fango, non voglio consegnarmi al loro giudizio, non voglio rischiare di essere irriso, io, da un filisteo incompetente, per una mia occasionale distrazione.

Quindi mi fermo, nell'esoscheletro della mia casa, che mi sono costruito a mia misura. È questo il mio potere; non operare magie per allocchi, ma saper prevedere esattamente ciò di cui ho bisogno, e conoscere con precisione ciò che mi piace.

E tu,
solo per questo adesso scrivo, non devi invidiare in me nemmeno la facoltà magnifica di saper vedere e capire, in ogni angolo delle cose.
Perché c'è un punto, un punto solo, in cui non vedo. Non distinguo nemmeno se sia lontano o vicino. Se io riesca a nasconderlo con i miei sforzi, o se invece sia in bella mostra al pellegrino stanco che voglia appoggiarci i gomiti per
riposarsi, o al villano che decida di sputarci addosso.
Per questo ora sto chiuso nella mia casa, e quando
per le intemperie del caso io mi sposto, lo faccio con la svelta goffaggine del paguro, o con la lentezza ottusa della testuggine. Facendomi irridere, e ridendone e piangendone io stesso.
Non c'è tifone o uragano, né tempesta di sabbia o tromba d'aria, che possa stanarmi. Non colpi pesanti né tocchi gentili mi faranno aprire l'uscio.

Non puoi avere invidia per un'entità onnipotente, ma vulnerabile alla carezza. Lamiere si sciolgono, corazze svaniscono, per calcolo sapiente o, forse peggio, contatto inconsapevole.
Ed eccomi al servizio della mano che per studio o fatalità ha saputo sfregare la mia lampada. Depredato dalla velocità, inerme più di un neonato, scervellato e cieco, ad eseguire ciò che un genio crede di dovere.

Perché senza desideri io, io non vivo.

~~~

Subito perle e gioielli si materializzarono su pesanti vassoi d'oro massiccio.

"Lo crederesti, madre?" disse Aladino. "E' sparito appena un attimo dopo avermi soddisfatto."





2 - Musica.



La lampada di Asterione by OID music

venerdì 15 luglio 2011

Bah

Insomma, 




, ecco quello che volevo dire.


domenica 26 giugno 2011

Guida alla calvizie per principianti.

Adesso che finalmente siamo giovani, dobbiamo stare tutti attenti alla fine che possono farci i capelli.

I capelli sono un fenomeno irripetibile. Essi avvengono una sola volta nella vita – tralasciando quelli che si disegnano certi brutti ceffi coi Carioca, poiché è chiaro che così non vale.


Insomma, quello che voglio dire è che nei prossimi minuti ti farò da guida nei meandri della Calvizie. Che è una cosa che ha delle meccaniche complesse, quanto a conseguenze teorico-pratiche. Per evitarti di travisare, soffrire, sperimentare, ti elenco un piccolo alfabeto di trucchi. Ventuno lettere di un autentico alfabeto, italiano al 100%, con cui far fronte all'incoming alopecia. Se vuoi puoi ritagliarti la parte di monitor che ti colpisce di più, e attaccartela colle calamite sul frigorifero. Oppure ricavare dal cristallo liquido un concentrato di succhi preziosi. Specie in stagioni torride come questa, nelle quali è a rischio disidratazione il vecchiodimmerda che sembri esser tu, stante la tua calvizie presente o futura.




A) Essere calvi è una cosa che avvicina alla morte. Avere la forma del teschio così all'infuori ricorda a te e agli altri come ci si polverizzi facile, a una certa. Dev'esser questo a provocare tutte quelle esplosioni di ilarità al riguardo.

B) Per conseguire una calvizie soddisfacente, tu devi accorgerti che stai perdendo i capelli solo per ultimo. Vuoi per incuria, vuoi per sbadataggine (mi riferisco a quelle del Tuo dio, che come vedi dalla parziale majuscola io rispetto; non come faccio col mio, e non solo per la sua dispettosa indole depilante). Perché che tu li stessi perdendo era chiaro da un pezzo.
Tutti devono accorgersene, tranne te. All'improvviso perdi la capacità di leggere indizi semplicissimi quali:


- risolini alle spalle
- essere chiamato con nomi di noti calvi
- lo scarico che si intasa ogni tre docce
- colori nuovi che ti compaiono nel sottobosco dei bulbi piliferi.

C) Ogni volta in cui ti trovi in mezzo alla gente, sull'autobus, a una lezione universitaria, la proporzione tra te e i non-calvi ti deve scioccare. Conseguentemente, ti devi percepire come l'essere più sfortunato e infelice della terra.

D) Devi sentirti morire ogni volta che si parli di pettini, di phon, di shampooing, di doppie punte, piastre, colpi di sole, permanenti. Certe volte ti scoprirai ad attraversare la strada solo per evitare di passar sotto all'insegna di un parrucchiere.
Solo dopo un sacco di tempo inizierai a crocifiggere il tuo prossimo con gragnuole di battute autoironiche sulla tua condizione di calvo, uscendone in modo se possibile ancor più patetico.

E) Dopo un transitorio iniziale, preso atto della tragedia imminente, puoi provare a pettinarti i capelli all'indietro, se hai iniziato a cimentarti con la chierica. O sfoggiare frangette fraticensi, se invece il tuo problema è che ti fai di giorno in giorno più sfrontato.

F) Se sei pazzo, puoi scegliere di farti Calvo da Riporto. Regalando ai tuoi intimi la tua assurdità di quando esci dal mare o dalla doccia. Acquisirai in compenso l'istantaneità chiropratica di generarti sulla testa situazioni tricologiche partendo da materiali pressoché nulli ma infinitamente lunghi.

G) Molto, molto meglio il buon vecchio tana libera tutti, e far tabula rasa.


H) La prima rasatura può rivelarsi la più memorabile. Ti ricorderai tutto, di lei. Quando. Dove. Con chi. Sessei 1 tipo che sta allo scherzo, sperimenterai tra varie alternative buffe. Puoi raderti solo sopra, e vedere l'effetto che farai tra quei 5 min. che ti mancano per divenire 1 vero calvo. Altrimenti, se sei un tipo vintage, ti radi ai lati lasciandoti la striscia di Mr. T sopra, e fai le facce incazzose allo specchio.

I) Se invece sei un filodrammatico, devi farti rasare da terze persone. Un amico, un parente, la fidanzata. Chinerai la testa sul lavandino. In questo caso, è bene che tu sappia che rialzandoti la tua vita non sarà più la stessa. Per la prima volta scorgerai nel tuo specchio lo sconosciuto con cui convivrai per il resto dei tuoi giorni. Scoprirai quanto determinante sia una qualsivoglia chioma, ai fini di una corretta fisiognomica. Senza una chioma, infatti, a qualificarti non rimangono che un pugno di miseri lineamenti.

L) La prima notte il cuscino sarà di un fresco sorprendente. Quindi temerai per i rigori invernali cui le tue nuove nudità saranno sottoposte. Scoprirai che tra calotta cragnica e cuoio scapelluto ci sono pochissimi sensori termici, tipo si sente molto più freddo sul naso o sulle recchie. O magari sono io che ho una vita cerebrotermica così incalzante da non risentire delle temperature più fredde. In ogni caso, conoscendoti, buona fortuna.

M) Ben presto ti attaccherai morbosamente a qualsiasi villosità facciale. Ti accorgerai per la prima volta di quanto importanti siano ciglia e sopracciglia. Per mitigare il tuo fresco anonimato proverai coi baffi, col pizzetto. Sarai tentato dalla barba che parte all'improvviso da dietro le orecchie. Ma poi lascerai perdere per l'inconcludenza di una soluzione tanto sbilanciata e asimmetrica.
Due consigli. Occhio a quando ti radi di fretta. Se ti asporti senza volerlo un baffo o pezzo di pizzo dovrai far piazza pulita di tutto, e sarà come uscire di casa colla faccia coperta di bianchetto. Attenzione anche alla penuria di accendini. Le sigarette accese sul fornello diverranno fonte dei più grandi dispiaceri, segnalandoti l'errore attraverso la puzza di pollo bruciato che emanerai.

N) Se tutto questo ti capita entro il 1995, automaticamente sarai per tutti un fascista. Le vecchiette di paese si commuoveranno al tuo arrivo, riandando a quando erano giovani. Scorgerai nelle loro gengive scoperte un salivoso desiderio di baciare.

O) Tutti diranno “Beato te, risparmerai 1 casino di parrucchiere”. Ma tu saprai il costo di lamette e schiume da barba quasi quotidiane, oltre al tempo perso e al sangue versato inutilmente in sacrificio per voi e per tutti in remissione dei peccati.

P) Quando ti esponi ai primi soli, c'è un posto nuovo su cui spellarti.

Q) Chi è fissato per l'olio toscano, chi dice che quello pugliese è troppo forte; chi apprezza il ligure o il siciliano. Fatto sta che anche tu ne diverrai un grosso produttore. Depositerai sui cuscini ove dormirai il tuo olio cranico in dosi imbarazzanti per ogni donna che avrà avuto il fegato di coricarsi con 1 autentico calvo quale sei tu.

R) Già, ogni donna. Se tu che leggi tanto coinvolta sei donna, allora è un bel guajo. Per i maschi, l'alopecia può rivelarsi in fin dei conti una spiritosa avventura. Ma per te - e solo te, donna - è 1 autentica sciagura. Sei rarissima, per non dire unica. E non in modi che possano essere interessanti. Sei vittima di un atroce scherzo del Destino, chiamiamolo così quel furtivo Majale. Ma non preoccuparti. Fra pochissimi, secoli l'alopecia sarà comune nelle donne quanto negli uomini. Porta pazienza ancora un po'.

S) Sei uno sportivo? Scoprirai una funzione che non avresti mai ipotizzato in un banale cosmetico quale I Capelli. Essi, assieme a ciglia e sopracciglia, sono indispensabili a trattenere il sudore. Il quale, in loro assenza, trova subitissimo la strada diretta per arrossarti gli occhi come un uomo-lupo o un donna-lupo, se hai avuto in sorte la disgrazia suprema di confluire nel punto R)

T) Sulle prime, indosserai un cappello. Potrai uscire scalzo, o anche nudo; ma mai senza cappello. Sei un tipo giacca & cravatta? diventerai un tipo giacca, cravatta & cappello. In genere di quelli da baseball, con visiera, perché la cosa che più ti mancherà è nasconderti lo sguardo sotto qualcosa.

U) Percepirai l'esistenza di un nuovo parametro. L'estetica della testa. In questo frangente potresti scoprire che la tua testa presenta scalini, bozzi o bitorzoli d'ogni genere. Buona fortuna.

V) Niente più sigarette sull'orecchio. Cascano.

Z) Se per caso è il 2006 e si svolgono i Mondiali di Francia, molti vorranno prenderti la testa tra le mani e baciartela come Laurent Blanc faceva con Fabien Barthez.


Insomma, se ti organizzi un minimo, con le delizie della calvizie c'è da divertirsi.
Ma non per te.

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