domenica 3 agosto 2014

Tempo scaduto.















Le puttane gratis sono le più dispendiose e le meno soddisfacenti. Questo finora mi ha illustrato la vita. E allora perché?
Perché non fare il gran salto monetario, nel senso. Riserve morali non ne ho.

Non certo con quelle per strada. Minorenni sfruttate e ricattate, probabili ricettacoli di germi, poco igieniche sicuramente. Una sera, avrò avuto vent'anni, ne ho vista una. Tutta smanacciata da una specie di rospo dell'Est, sceso da chissà quale tir o impalcatura di tubi, almeno loro Innocenti. Puzzava di birra. Si appoggiavano sulla colonnina di un benzinaio chiuso, lungo un viale a scorrimento veloce della città.
L'avevo notata in attesa, già mentre cercavo parcheggio. Solita procedura. 'Anvedi che' – 'ah, ma è na' – 'poraccia'. Ancora non sapevo quanto. Ero con una, gratis ma non puttana. Scendendo dalla macchina le passiamo vicino. Vaghi sensi di colpa da uomo,
potenziale puttaniere. Poi smarrimento. Cosa augurare a quella ragazzina? Che il rospo non si fosse mai fermato? Che passasse tutta la notte in attesa di altri rospi? Che a un certo punto da una carrozza trainata da una pariglia di cavalli bianchi scendesse un principe azzurro, per farle il culo? E perché io e la mia amica, poco più grandi di lei, invece andavamo a vedere un concerto d'estate, e poi al mare domani, e chissà se quella notte dormivamo insieme? Cosa non andava bene, nel posto e nell'epoca in cui era nata? Che si poteva fare, per raddrizzare le cose?
Votare il meno peggio? 

È terribile quando hai domande buone, ma non le risposte. È ancora peggio quando hai entrambe, ma ti comporti come se invece no. Quelle che ricevono a casa non sono sfruttate. Lo sostengono Internet e alcuni conoscenti, supportati da informazioni di prima mano. Spesso sono donne, straniere e non, che arrotondano così. Lavori di merda ce ne sono tanti. Forse ancora più subdoli, nella loro normalità.

Insomma. Ero reduce da un rapporto logorante. E gratis. Soprusi piccoli e grandi. Soprattutto medi. Anche nel sesso. Non mi sentivo libero di chiedere quello che volevo, o darlo. Nella migliore delle ipotesi ricevevo nervosismi. Anche risate, una volta.


Ci pensavo da un po'. Giocavo spesso a pallone con questo mio amico. Se ne forniva da 15 anni. Ci andava di media un paio di volte al mese. 12 mesi per 15 anni: fa 360 puttane. Sulle centomila le prime, 50/70 euro le più recenti. Tranne qualche sfizio occasionale da 250.
Contando anche solo 50 € per tutte quante, ha speso sui diciottomila euro. Senza valutare abitini sexy e gadget acquistati, che mi assicurava costituiti solo da manette di vari tipi.

Probabilmente era vero. A pallone non era uno particolarmente falloso.
Cifre comunque da capogiro, per le ripetizioni di matematica con cui campo al momento.

Ma nel frattempo, qual era stata la mia contabilità di puttaniere gratis?
Almeno un paio di uscite serali alla settimana. Cene o concerti. Spesso pagate da me. Diciamo 70 euro. La benzina, sempre la mia. Mettiamo un pieno alla settimana: 60 euro. Questo esige una puttana gratis. Storce anche la bocca, se la macchina in questione è un'utilitaria di 6 anni. Vacanze costose, anche in posti che non m'interessano. Regalini e regaloni.
Alla luce di questo bilancio non mi sento più tanto virtuoso. Tantomeno furbo.

In realtà, molte delle sue puttane erano da considerarsi con ripetizione. Più che le cifre mi interessavano percentuali e sociologie. Le sue erano queste:


35% dalla russa con cui si trovava a meraviglia
25% da una colombiana di poco inferiore
10% da un'altra colombiana, cugina della precedente, da non buttarsi via neppure lei
  5% altre quattro: una brasiliana
palestrata e plastificata, una milf sessantenne che gli ricordava la professoressa di matematica, una mulatta dal seno enorme e naturale e l'unica asiatica che avesse mai trovato a non dare fregature
  5% un'altra decina di professioniste, per un solo paio di volte
20% botta secca senza tornare, o perché si era trovato male (diversa dalle foto o con decine di anni o di chili in più – frettolosa o insofferente dopo aver percepito salario – tatuaggi terrificanti – grossi nei in posti primari – cicatrice del seno rifatto in bella vista – poca igiene – alito non buono) o perché costavano £iradiddio.

L'ultimo 20%, calcolato sui 360 appuntamenti totali, ammontava a 72 signorine. O signoracce, piuttosto. Questo intristiva lui e preoccupava me. Quanto bisognava spendere, di tempo e soprattutto soldi, per trovarne una buona?
Lui di davvero buone ne aveva trovate 3 su 90. Inoltre, da forum o discorsi con altri avventori, e per la sua stessa esperienza, dichiarava che almeno per le prime 10 volte i nervosismi fanno combinare poco.


~~~

Il resoconto poteva finire qui. Ma se tu necessitassi di un oncologo, per costi e fallimenti sarebbe possibile compilare percentuali analoghe. Quanti metodi Di Belli, quante limonate mattutine bicarbonate e calde, quante chemioterapie invasive inutilmente, quanti aliti cattivi prima di trovarne uno buono? Questo è un approccio emotivo e non scientifico. Inoltre, la mia fonte mi informa che per le puttane a pagamento esistono siti internet e ricchi forum di utenti che recensiscono. Per gli oncologi no.


Quindi vado.
Straordinario. Un vero sottobosco. Ce ne sono per tutte le tasche, e io piano piano mi faccio uno know-how.
Gli acronimi sono incomprensibili, più che in altri settori merceologici. Lentamente li imparo.

B&S
Esca e Cambio (Bait and Switch). Persona diversa dalle foto.

BBJ 
Orale scoperto (Bareback BlowJob); oppure

OWO
Oral WithOut.

BLS
Ball Licking and Sucking.

CIM 
Cum In Mouth.

Extraball
Una in più, come nei flipper.

FK 
French Kiss.

GFE 
Come con la tua ragazza (GirlFriend Experience).

HM 
Vettura di molti chilometri (High Mileage).
 
Incall 
Riceve.

Outcall 
Accorre.

LTR
Fino al mattino dopo (Long Time Rate).

PSE 
PornStar Experience.

rose
Valuta in corso (es. 50 rose = 50 €).

TGTBT 
Too Good To Be True.

TUMA 
Tongue Up My Ass.
       
Poi i migliori:

RAI 1 
Lato A.

RAI 2 
Lato B, di ricezione non sempre garantita.

VU 
Velocità Urbana = 50 km/h = 50€.

E io che mi ritenevo un pornologo.
 

Ok, le informazioni ci sono. Il bilancio economico torna. La convenienza scientifica pure. Cosa rimane?
Igiene. Malattie. Essere beccato sul pianerottolo da uno a cui do ripetizioni. O peggio ancora dalla madre. Poter tronfiamente dire “Ah-ah! Io non ho mai pagato 1 donna”, ma è già chiaro quanto ciò sia ingenuo.

Pagare cash è una faccenda schietta. “Qual è il costo di questa merce?”
“X euro”
“Spiacente. Il prezzo che sono disposto a pagare è Y ≤ X. Per importi maggiori la transazione non andrà a buon fine”
“A Y potrei proporti quest'altro prodotto”
“Ok. L'esito della contrattazione mi soddisfa”.

Sbagliare regalie e scoprirlo da musi storti è meno soddisfacente e ben più disonesto. Ci vuole del fegato, a essere non gratis. Rischi di sentirti ridere in faccia, quando reciti il tuo tariffario. Al diavolo l'igiene, al  massimo scarterò le BBJ. Non le bacerei mica volentieri, ammesso che consentano il FK. Non temo pianerottoli. Ne sceglierò in aree poco battute della città. In fondo le mie magre scolaresche mi vivono quasi tutte in zona.


Quindi consulto. Scarto candidate, copioincollo le papabili. Nelle sottocartelle del mio computer si viene a creare il file “cash”. Presto giunge l'ora di telefonare; però rimando. Ma due notti con dentro lo stesso sogno pieno di sensi di colpa catto-borghesi mi sbloccano. Nel digitare il primo numero sulla tastiera del cellulare, il cuore mi batte. È come tuffarsi, o approcciare una ragazza. Mentre stai per proiettarti il baricentro oltre la confort-zone, ti senti guardato da tutto il mondo. Lui invece continua a farsi come sempre gli affari suoi. Chi senti borbottare è quello che ti hanno ficcato o ti sei ficcato da solo nella testa.

I numeri sono spesso irraggiungibili. O sono in pieno esercizio, oppure hanno cambiato città. Sono in tour, come loro amano dire. Tendo a scartare le linee più movimentate, preferirei non dovermi mettere in fila. Quando suona libero mi ausculto tremare dentro e fuori. Mi risponde la prima. La mia voce malferma s'informa su costi e orari, ma si scorda di chiedere l'indirizzo. Per la vergogna non richiamo, e vado oltre.

C'è questa russa che dalle foto è incredibile. Mi faccio condizionare dal mio terzino, che con la sua si è trovato bene: una vera GFE. Alla fine della telefonata chiedo “Ma le foto che ho visto, sei davvero te?” “Ahah, certo!”. Mi faccio scappare un “Madonna, ma allora sei proprio bella”, di cui mi vergogno
immediatamente.

Voglio essere il primo. Mi riprometto di andare il giorno dopo per le 13.00, all'inizio della sua alacre giornata lavorativa. L'ultima che frequentavo gratis iniziava a sbraitarmi contro dalle sette del mattino.


~~~

Il giorno dopo mi alzo presto. Mi
lavo i denti, mi faccio bene la barba e la doccia. Voglio essere irresistibile. Per strappare un prezzo vantaggioso, ma soprattutto per sentirmi apprezzato, per una volta.

Mi reco in zona. Accentuo le spiegazzature del Tuttocittà, la mia utilitaria di sei anni non ha navigatore. Aria condizionata alta, per non arrivare sudato. Scelgo un parcheggio lontano dalle case. Qualsiasi pedone sembra giudicarmi, come quando da adolescente facevo incetta di giornaletti pornografici. Perfino la giornalaia che li vendeva.


Faccio il numero, e lei assurdamente risponde. Ha una voce molto dolce, l'ho scelta anche per questo. Mi dice che può, però alle tre. 'Porca troia!', penso. Ma mi pento di pensare così di una così dolce. Certo, che vuol dire 'alle tre'? Che devo raccattare quanto percorso manco da 1, ma da 2 avventori precedenti? Che fastidio. Però ieri mi ha detto che in queste mattine è alle prese con un trasloco, forse è questo ciò che la impegnerà fino alle tre.

La paura è scomparsa. Resta solo la voglia. Una voglia furiosa, assoluta, che non ammette deroghe. Io oggi andrò da una puttana cash. Sguaino il cellulare. Utilitario e di sei anni anch'esso. Dal suo mini-display mi metto a cercare sui siti ormai noti, maledicendomi per non avere dietro il file “cash”. La navigazione è estenuante, e io metto in moto la macchina per cercarmi una spremuta di pompelmo. Chiamo un paio di professioniste promettenti, ma hanno iniziato a praticare dalla mattina presto, e a me le orme di animali selvaggi mi confondono. Anche se oggi potrei diventarne uno anch'io.
Fra una cosa e l'altra si fanno le tre.

Torno al vecchio parcheggio. C'è ancora. Richiamo. Mi chiede di sentirci quando starò davanti al civico per darmi informazioni più precise. Rosico a bestia. Cosa penserà la gente di uno che chiama al cellulare davanti a quel laido palazzo? Il mio travestimento di cappelli con visiera e grossi occhiali neri non basterà. Decido di fingere la telefonata da ben prima di arrivare.


Da indicazioni telefoniche imparo che da una fontanella pubblica parte un vialetto. Lo devo percorrere, fino all'ultimo portoncino. Ne vedo vari, nel frattempo. Ognuno è corredato da finestre a tenda scura. Per dio, questo è l'antro del piacere. La voce nel telefono è superata in volume da quella dietro la porta. Che si apre.

Gambe nude. Quaranta e passa anni. Chioma bionda. Canottiera rossa trasparente e reggicalze dello stesso colore. Tacchi alti, almeno loro. Il resto non supera il metro e sessanta.
Questa è l'unica informazione che combacia. La persona in questione non è quella delle foto. Sono incappato in un chiaro caso di B&S.


Ma non fa niente. Sembra dolcissima, come la voce con cui parlavo. Gli occhi mi sorridono da dietro  fessure strette. Ha le fossette. Proprio il tipo protettivo di cui hanno bisogno le mie gambe tremolanti.
Entro, ed è più scuro. Ci baciamo su entrambe le guance. Mi fa sempre strano baciarsi sulle guance con una che non ho mai visto. Ma lei non è come le altre: lei è cash.
 

Al proposito le chiedo “Quanto ti devo dare per una chiacchierata, un po' di carezze e fare l'amore? L'orale non mi interessa particolarmente”. “Una cosa tranquilla, 50 euro”. Prendo il portafogli, lei bisbiglia un “non fa niente...”. Lascio comunque la banconota in anticipo e sul comodino, come si addice a un vero gentiluomo.

Devo andare al bagno, trattengo da tempo una pisciata incommensurabile. Mi dà della carta da un rotolo grandissimo. Urino e mi lavo uccelli e mani. Torno dentro. La banconota non c'è più.

“Senti. È la prima volta. Mi tremano le gambe. Mi devi aiutare tu.”
Apre appena le fessure, meno stupita di quanto mi aspetto. Non ho da preoccuparmi, secondo lei. Certo non ho mai trovato facilità di comunicazione ed empatie simili, nel gratis.
Si sdraia sul letto matrimoniale, e mi dice di spogliarmi.

Dice bene, lei. Mostrarmi nudo è sempre stato un dramma. Ma lei non è una qualsiasi. Lei è cash. Quindi vado.
D'altronde sono in forma, e nonostante gli acquazzoni dei giorni scorsi ho una discreta abbronzatura. Mi spoglio e la raggiungo. Non mi sembra colpita dalla mia muscolatura. Eppure, oh!


“Mmm, sei dotato”. Una buona cosa, se non lo dicesse probabilmente anche a chi ce l'ha concavo anziché convesso. Ci sdraiamo. Io sul fianco destro e lei sul sinistro. Inizio a carezzarle una coscia. Faccio scorrere le unghie sulla pelle, delicatamente. “Sei bella, sposiamoci”, mento. Ma la trovo bellissima, lei è cash. Cerco di baciarla in bocca, ma è un modello che non supporta il FK. Più tardi, a causa di quel buco spaziotemporale dalle 13.00 alle 15.00, me ne rallegrerò.
Non demordendo, le lecco un lobo e il collo. Ma la mia barba la pizzica, e teme che ciò le arrossisca la pelle. A suo modo è timida. Ciò mi mette a mio agio. “Non leccarmi così, o poi dovrò farmi una doccia”. Questo m'insegna che sul lavoro tende a non farsene.


“Come ti piace?”, faccio io e non lei. Le spiego che mi eccita vedere la mia partner eccitarsi. Che mi piace essere guardato negli occhi, e vederle spesso la lingua in bella mostra. Me la concede per un attimo sulla mia, e mi guarda negli occhi per un tempo ancor più breve. Sembra veramente timida, il che non mi dispiace.
“Tu sopra e io sotto, si sente di più”. Sarà vero? Non l'ho mai capito bene, dalle mie gratis.
“Però salimi sopra
tu per un attimo”.

Lei allora prende qualcosa da una ciotola sul comodino, che mi era sembrata contenere decine di bustine di tè, e m'infila in un secondo il preservativo. 'Ah! Ecco cosa', penso io in uno dei miei caratteristici lampi di genio.
Nonostante i miei input ci va di bocca. Non mi è mai piaciuto particolarmente. Specie col preservativo. Poi ti sembra di baciare un tubetto di Crystal Ball.


Però si ricorda di iniziare a starmi su. Non mi calza fino in fondo, solo il primo tratto. Non piace granché a nessuno dei due. “Adesso stammi sopra tu”, e si sdraia di schiena.
Me lo prende e se lo infila. Mi piace quando non sono io a dover trovare il buco. Ehi! È bella stretta! Davvero incredibile, l'universo cash. Così inizio a darci dentro.

Ho un amoreggiare movimentato. Una volta
ho ritrovato il letto a mezzo metro dalla parete su cui poggiava. Anche questo oscilla parecchio. Mi distrae sbattendo contro il muro. Avrei preferito una struttura più massiccia. Vado lento e poi veloce. A un certo punto, molto veloce. Mi tengo su a palmi aperti e poi a pugni chiusi, cavalcando in un attimo ogni corrente parlamentare. Lei risponde poco, ma si lubrifica completamente. Questo mi conforta, spingendomi a far bene.

Le poggio l'addome sulla pancia. Infilo le braccia sotto le sue, e prendendola per le spalle me la spingo contro. Mi piace sentire le pance sudate, e i buffi rumori che fanno. Specie la mia, dura e tagliente, su una ben più morbida. C'è un ventilatore sul comodino. Anche lui fa il suo lavoro. Tutto lavora per il bene comune.

L'entropia per una volta cresce poco. Mi stacco dalla sua pancia rotonda e mi metto in ginocchio da lei senza sfilarlo. Le prendo le gambe e me le schiaccio sul petto. Cosce sode sugli addominali, asciutti e sudati al tempo stesso. Buona intuizione. La mia parte sensibile le tocca il finisterrae. Mi sento in forma.

Le sise girano per i miei colpi. M
oto antiorario quella a destra, mentre l'altra a sinistra va al contrario. La frequenza della rotazione segue la mia velocità.
Perché non girano solidalmente? Verso orario per entrambe, o antiorario? Sarebbe lo stesso, il verso, nell'emisfero australe? È il caso o no che io ne parli con lei, in questi frangenti? Lo sarebbe, se fossimo in un contesto di puttane gratis? O addirittura con la propria ragazza?
 

Se non se ne andava prima del tempo, magari potevo chiederlo a mia moglie.


Tesoro, hai problemi?
Ora che ci penso, vado avanti da un po'. Del cash sto per varcare le colonne d'Ercole.
“No no, che problemi. Potevo venire un sacco di volte”. Mi diverto molto. Per l'entusiasmo decido di leccare quello che ho intorno, e di forse pulito le trovo i malleoli.

Lecco e succhio, succhio e lecco e sono a posto. Lei lo prende tra due dita e lo leva con cautela, stando attenta che non si sfili il preservativo. Non vorrà mischiare le razze. Corre in bagno, indicandomi la carta. Io me lo levo e ne faccio una pallottola, con cui centro il cestino al primo colpo. Dum-de-dum. La vita è bella, e il suo costo è basso.

Mi andrebbe di chiacchierare sdraiati. Abbracci e carezze. Dalla sua espressione mutata capisco che non è il caso, e dovrò rivestirmi in fretta. Mi disoriento. Forse era questa, la speranza del Gratis.

Afferra alcuni tra i telefoni che giacciono su un tavolo. Prima non li avevo notati. Si infila un auricolare e risponde a una suoneria muta. Parte in italiano, ma da un “Da” in poi parla in una lingua che non è più la mia.


Io mi rassegno e mi vesto. Occhialoni neri di nuovo, visiera ben calcata sulla fronte e sono fuori. Naturalmente, traggo dalle tasche gli ingredienti per confezionarmi un'ottima sigaretta. Percorro il vialetto, arrivo alla fontanella e poi alla macchina. La mia utilitaria di 6 anni mi ha atteso fino all'ultimo, come farà certa gente a denigrarla. Metto in moto e m'incammino.

La sigaretta è buonissima. Ho la lingua strana. Mi ricordo di aver leccato. Un pensiero mi trafigge. E se le stesse zone in precedenza le avessero scelte dei portatori di mustacchi? Ho dei fazzoletti di carta. Non si può leccare un fazzoletto di carta. Ci sputo dentro quello che posso.
 

Quasi a casa c'è un camioncino scoperto, guidato da un rumeno. Vuole sbucare da una traversa tagliandomi la strada. Gli suono e lo guardo. Male e negli occhi. Lui abbassa lo sguardo e frena.
Dev'essere questo, ciò di cui parlano. Come si chiama? testosterone.


venerdì 11 luglio 2014

Cefalee cosmiche.

 



















Leggo sugli strumenti che ho lavorato come uno schiavo per tutto l'anno. Zero vita sociale. Zero donne, scludendo una parentesi pur piacevole ma breve. Lavoro, psicoterapia e palestra. In tutte le permutazioni possibili. Dovrei trasferire le domiciliazioni bancarie delle mie utenze domestiche sul nuovo conto. Ma posso farlo nel pomeriggio.
Sai l'euforia di quando ti compri nuovi capi d'abbigliamento? Ci sono i saldi, ora piglio la macchina e vado a fare una passeggiata in centro.

Sotto casa lavori in corso. Sventrano la strada, per la terza volta nell'anno. Prima l'illuminazione stradale. Già non funziona più. Poi le fognature,
straripate e navigabili per le alluvioni di sei mesi fa. Adesso il gas. Si marcia a sensi alterni. A lternarli, un Playmobil in livrea rancione, con paletta rossoverde d'ordinanza e tutto il resto. Tempo di percorrenza 30 minuti, per un tratto di 2 chilometri.

Non sarà questo a scaturirmi pentimenti. Neanche gli stronzi che mandano sms dalla corsia di sorpasso ci riusciranno.
La radio scrausa della mia scrausa utilitaria salta rbitrariamente, alternando frammenti di Message in a bottle e le previsioni del traffico. La trasmissione è disturbata, visto che dei ragazzini m'hanno fregato l'antenna. Probabilmente per giocarci agli spadaccini. Per chilometri, ai bordi della tangenziale, volanti della polizia dicono “Adagio!” dai loro tabelloni elettronici. Ottimo consiglio. Senza, l'italiano rischierebbe di perdersi una macchina ferma col triangolo e il suo proprietario che parla al cellulare indossando il regolamentare gilet giallo fosforescente.


La testa inizia a pulsarmi. Dopo vari giri parcheggio lungo un marciapiede transennato. Si rischia un po', ma alternative non ci sono. E poi non si paga il parcheggio sulla fascia blu. Solo il pericolo di una multa. Mi sbrigherò.
C'è il mercato. L'odore della frutta che prende il sole nelle cassette
mi raggiunge.
Ogni negozio si è organizzato con un suo questuante personale. C'è la zingara col bicchiere di carta, il mutilato, il vecchietto dei santini. L'africano invece è peripatetico. Mi aspetta al varco colla sua borsa piena di calzettoni. N
elle mani ne ha vari campioni. Il calzettone di spugna: articolo irrinunciabile, in un'estate torrida. Io temo lui. Egli per prima cosa mi sottoporrà al suo moderno saluto tribale: schiaffetto a mani aperte, pugnetto contro pugnetto, mani che toccano il cuore e poi non ricordo più. Nel rispetto di una procedura che ignoro. Non sono all'altezza, cannerò sicuramente il timing. Ma perché mi deve far fare la figura del bianco?
“Ciao fratello, come stai?” “Bene scusa grazie devo scappare”, tenendo
la falcata costante. “Almeno un euro per un caffè”.

Mi fermo e lo guardo. “Come, per un caffè? Un caffè con questo caldo, e questo dore di frutta che va a male? Non ci credo. Tu non useresti il mio euro per un caffè”.
Lo Sguardometro registra massima intensità. Il quadrante indica “Sguardo di uomo nero che colpevolizza uno sfruttatore bianco”. Ecco perché le favole mettono in guardia i bambini dagli uomi neri.
“No fratello, hai ragione, non è per un caffè. Te lo dico, se prometti di non ridere.”
Lo prometto. “È per pagarmi gli studi. Sono iscritto a un corso privato di Laurea in Economia e Commercio di Calzettoni di spugna. Ti prego, comprami un paio di calzettoni. Non farmi andare fuori corso”.


“Non posso aiutarti: come vedi, non ho i piedi”. Infatti, aumentando la concentrazione e le conseguenti pulsazioni alla testa, mi faccio sparire i piedi. Lui abbassa gli occhi per controllare, e cambia espressione. Mi guarda e fa “Alla mia università c'è una laurea in Deambulazione Senza Piedi! Ti prego, accetta un euro per i tuoi studi. Aumenta la qualità della tua vita”.

Lui mi nsegue per un po'. Ma io,
balzando di moncherino in moncherino, scappo più lesto.

Arrivo alla meta gognata. “Il paradiso del surfista”. Io che sono ateo e ho esperienze di surfista lontane e pisodiche, entro. Il commesso mi saluta con calore. Nessuno conosce i rispettivi nomi, ma chissà perché lui crede che un tempo eravamo amici. O
gni volta che arrivo nel suo negozio abbiamo almeno un pajo di minuti di conversazione forzata, e me ne vado coi sensi di colpa se non ho preso niente. Mi guarda le scarpe. Da skateboarder. Le mie sperienze di skateboarder sono meno episodiche, ma ncor più lontane. “Dove le hai prese? Sono quelle di Halo?” “Sì. Io manco sapevo che era. Mi sono disintossicato dai videogiochi 22 anni fa. Ho capito cos'era da domande tipo questa”. Quindi ci separiamo, colla promessa che gli avrei chiesto tutto quello che mi occorreva.

Quello che mi occorreva erano alcuni capi della mia taglia. Dopo vari ngorghi ricordo che avevo una teoria. È inutile andare per saldi. Non trovi niente. Se trovi qualcosa, non cianno la taglia. E se pure ce l'hanno, era meglio pagare un prezzo pieno pur di entrare a negozio vuoto e provare le cose con calma.


Buco nell'acqua. Vado a fare la spesa. Altra faccenda che rinviavo da tempo. Negozio bio. Sono tornate le orecchiette di crusca. Yum. Aromatizzate alla prugna. Che delizia per i miei crassi ntestini. Prendo sempre le stesse cose. Orecchiette di crusca. Germe di grano. Kamut soffiato, cus-cus di kamut. Seitan fresco, the verde. Semi di zucca, certe volte. Il parcheggio è adiacente a un campo nomadi. Ne entrano alcuni, di tenera età e piccola taglia. Scalzi e semi gnudi. Ciascuno prende un ghiacciolo-bio, pagandolo con una quantità incredibile di spiccioli. Che mentre carico la spesa in macchina rivogliono da me. “Signore, che ciai degli spicci?” “Io no, e tu?” “Ciabbiamo comprato appena adesso questi ghiaccioli, non vedi?” “Io invece queste orecchiette di crusca aromatizzate alla prugna, ecc”. Per fortuna tutto si svolge a operazione ffettuata, altrimenti sarei stato bbligato all'esborso, per l'incolumità dell'utilitaria con cui mi metizzo nella popolazione.

Al supermercato incontro una che conoscevo. C'è anche il ragazzo, conoscevo anche lui. Portano all'anulare sinistro degli anelli, che indicano che il tempo almeno per qualcuno passa davvero. Chiacchieriamo bene. Scopriamo di abitare vicini. Ci promettiamo di aggiungerci su di un social network.

Tornando a casa la temperatura dell'abitacolo mi fa temere per i miei surgelati. Corro come un pazzo. Non ne posso più. Voglio tornare alla base.
Nei miei progetti si nterpone una signora. Con tanto di nserti in pura plastica. Vasti e vari. Cosa se ne troverà nella bara, quando sarà ora di ridurne la salma? Essa ttraversa fuori dalle strisce, gli occhi proni sullo smartphone, immobile in mezzo alla curva. Io che vado fortissimo decelero rudemente, e questo a lei non va giù. Stacca a fatica lo sguardo truccato e lo pone su di me. È una signora della zona Nord della città.


“Non si va così forte. Se c'era un bambino col pallone che attraversava la strada che facevi, lo mettevi sotto?”
“Signora. Lei non è un bambino col pallone che attraversa la strada. Lei è una signora rincoglionita che manda i messaggini stando ferma in mezzo alla curva, lontano dalle strisce”.
“Brutto pelato maleducato!”
Bel pelato maleducato, vorrà dire”, omettendo considerazioni sull'estetica delle sue chirurgie.
 

Arrivo a casa. La borsa mi guarda. Dovrei andare agli allenamenti. Ci sono andato per tre giorni consecutivi. Ci andrò per i prossimi tre, prima di partire. Sono stanco. Il caldo mi ha fiaccato, come segnalano gli ndicatori ascellari.
Metto su una pentola di ortaggi surgelati, tonno, salmone, cus-cus di kamut. Ci aggiungo cinque acciughe sott'olio, in luogo del sale. Un pizzico di alte mperature. Una spruzzata di curry e olio extra vergine di oliva. Mangio davanti al computer con sul monitor un vecchio fumetto dei Fantastici 4, in cui il Dottor Destino si allea col Teschio Rosso. Ne leggo 150 pagine, le altre 150 le leggerò un'altra volta davanti a una pentola con forse dentro la stessa cosa.

Vorrei prendere il sole. Il sole non vuol prendere me. Mi frappone una densa coltre di nubi. Mi rassegno a procedere con le operazioni on-line.

Ho tre computer. Uno per la navigazione. Uno per i progetti musicali. Poi un netbook, con cui vado a letto. La relazione più significativa degli ultimi anni. Ce n'è anche un quarto, con cui suonavo dal vivo l'anno scorso; ma se ricordi quest'anno ho lavorato come uno schiavo. Quel quarto non si tocca. Ha internet disinstallato. Forte della sua performanza musicale e del suo costo spropositato,
obsolesce sulla scrivania.
Nessuno dei tre funziona. Mi hanno piantato, tutti nsieme. Questo rende difficili le operazioni di travaso bancario che mi accingo a compiere. Quello di nternet non si connette. Lo consulto solo per leggere le password tutte diverse che uso online. Il netbook non si avvia due volte su tre, però mi svela le grazie di intenet dai suoi dieci pollici. Fa mezzo pollice per ogni finestra che tengo aperta.
Nulla va per il verso giusto. La burocrazia della nuova banca non coincide con quella dei fornitori di acqua, energia elettrica, gas, nettezza urbana, abbonamenti a riviste, telefonie mobili e fisse. Chiamo il primo numero verde. Ascolto tutte le tracce di un disco senza mai ncappare in un operatore organico. Rinuncio. Tento col secondo fornitore. Mi risponde un indiano, facendomi rimpiangere il long-playing di prima. È strano farsi parte attiva in uno scontro fra culture tanto diverse. Per adesso lui è solo uno piccolo fra i miei problemi. Se mai avessi discendenti, i suoi surclasserebbero i miei.


Provo col terzo. Qui ho un problema diverso. Ieri il numero verde mi aveva segnalato il numero di un ufficio specifico cui richiedere i dati necessari. Mi risponde uno serio, che si nnervosisce praticamente subito. Io non riesco a spiegare le mie necessità, e sto per innervosirmi anch'io. Mi trattengo, poiché reduce da una discussione col mio psicoterapeuta da cui forse non c'è soluzione. “Io ho una laurea in Contraddizioni! Lei cos'ha?” “Io insegno Fisica in un corso universitario, ma non sono laureato.” “Ecco, vede?”, mi fa con la faccia che sogghigna dalla cornetta. Non la vedo, ma la percepisco da un aumento specifico dell'entropia segnalato dagli strumenti.

Il fatto è che ha ragione lui, scoprirò più tardi, e i suoi “pfui – colleghi” del numero verde sono davvero incompetenti. Seguendo le sue colleriche indicazioni almeno un'utenza l'avrò attivata.

Il resto domani. È ora di bere il the verde propedeutico agli allenamenti, fare pipì e andare.

Durante il mio stretching si avvicina il maestro. Egli è molto solo. Certe volte alla fine non resta a farci fare sparring, perche deve scappare a Catechismo. Non “da” Catechismo, ma “a”. È arrivato quest'anno. Pensavo fosse incappato in un qualche matrimonio religioso, da cui io scampo coltivando problemi esiziali coll'altro sesso, e in secondo luogo col mio Sbattesimo. Poi, riscontrandolo allupatissimo in varie occasioni, ho capito di no. La sua deve ssere una libera scelta.

Nella sua solitudine, aggiungiamoci il mio carattere apparentemente remissivo, come mi vede si squalifica. Nel senso che fa sé squalo, e me naufrago
inerme. Io sto lì a fare i miei esercizi preparatori, sudando moltissimo e non potendo scappare. Lui mi circostanzia come la mina attorno all'ago del compasso. Finge di aumentare il proprio raggio, ma torna sempre a chiudersi su di me. Può essere il fine settimana a Praga che sta progettando, se trova qualcuno con cui andare. Oppure il ribadirmi la sua pagina Facebook, “Eh, ma io non lo uso mai”, “Vabbè! Quando ce capiti aggiungime”. Oppure, l'organizzazione della cena di fine anno. O ancora, le sue operazioni al ginocchio. “L'artra volta a lezione ce stavano 'n sacco de ragazze!”. “Me devo comprà un tàbblet, tu ce capisci?”. “Oh! Ieri una che lavora ar magazzino co me ha menato ar Capo! Nun pòi capì checcasino! È arivata la polizia! Tutti che me chiamavano pe fasse raccontà!”. Egli è molto buono, e io mi sento molto in colpa a non sopportarlo quando si squalifica in modi simili. Certe volte però m'innervosisco. Forse m'innervosisco troppe volte - dovrei rifletterci su. Quelle volte provo a dirgli mentre mi parla “Mongoloide! a voce sempre più alta, senza farmi sentire. Tanto qualsiasi cosa dica io, lui non ascolta mai.

Stavolta l'argomento è serio. “Na svorta, Vincè. Mò me scrivo a na facoltà universitaria. Me danno na Laura, capito come? Posso fa er Maestro sur serio. Certo ce sò materie, c'è Biologia, c'è Sport, c'è Fisica! Pure Fisica! Capito come? Io che ciò a Terzamedia! Però poi posso fà er Maestro a Tempio Pieno, basta cor magazzino. Na Laurea! Certo devo studià” ecc.

~~~

“Basta così, tenente. Mi ridia il casco, quest'atmosfera pestilenziale mi ha fatto venire il mal di testa. Torniamo alla nave”.

“L'avevo avvertita, Capitano. La composizione dell'aria era respirabile senza conseguenze pericolose, purché per tempi non prolungati. E i rapporti mettevano in guardia dal permanere...”

“Ho detto basta. Avvii la procedura di rientro immediatamente. Io lo sapevo, me lo sentivo, che questo pianeta schifoso non era adatto alla vita”.

mercoledì 25 giugno 2014

Un altro racconto di merda.

 
Nel frattempo anche nelle case più lussuose dentro i muri scorreva la merda.

So bene quello che dico: io faccio un lavoro di merda. Andò così. Fatte le scuole superiori svernavo in un'iversità scelta a caso. In 5 minuti, BANG! Fuoricorso. Al che, il fratello di una con cui uscivo all'epoca mi fa:

“So che cerchi lavoro”
“Non è vero, non ne cerco”
“Io ho da proporti un lavoro di merda”
“Sentiamo, qual è?” 
“Uno che conosco ha una ditta. Cercano gente. Si tratta di incanalare la merda lungo tubi in case di gente che paga bene”.

Perché no. Paga bene. Contenti loro, di averci nei muri la merda.
Eccomi quindi alle prese col mio lavoro di merda. Da anni. Non farmi fare conti. Non sogghignare, soprattutto. So che la merda fa ridere grandi e piccini, ma anche il lavoro che fai tu è una merda, anche se meno letterale. Ma la sua puzza la fa.

La mattina arrivo presto. Un ragazzetto slavo fa le tracce incidendo le mura col bisturi. Un tempo il ragazzetto slavo ero io. Poi sono stato promosso a Signore Italiano. Mi sono adeguato. Indosso pantaloni larghi pieni di tasche, con macchie che sembrano vernice. Alle 10.30 in punto traggo da una busta un incarto di pizza colla mortadella, una Peroni da 66 cl e il Corriere dello sport. Fino alle 10.45 non do retta a nessuno.

Così, il ragazzetto slavo lascia le sue tracce. Quando lo fa, sogghigna. Mi ricordo il perché. Nello scassare i muri della gente perbene c'è qualcosa di straordinario. La signora ti guarda col cuore strizzato, lei che quando vede sul suo pavimento un granello di polvere lo raccoglie col polpastrello dell'indice della mano destra. Vorrebbe indignarsi, ma sa bene che è ridicolo. “Signora, è la sua merda e non la mia. Io sono uno educato.” Al che, seguo le tracce del ragazzetto slavo, stendendo la rete di tubi sanguigni nei quali correrà finalmente la merda. Un attimo dopo, il ragazzetto slavo cicatrizzerà i muri con lo stucco. Se durante un party gli ospiti di quella gentile signora immaginassero la trama di liquami che li avvolge, rimarrebbero di stucco.

Una volta bisognava far passare la merda di prete nei muri di una chiesa. Quel giorno il ragazzetto slavo ha avuto il suo salario giornaliero senza battere un colpo. “Questi sono muri portanti. Ci penso io”. Quale soddisfazione nell'accanirmi contro quelle mura benedette. Naturalmente, in quel percorso di merda ho ideato piccole deviazioni. Ora passava dietro la schiena del Crocifisso. “Non si può fare diversamente. Vede? Solo qui dietro c'è un'intercapedine che si può sfondare. Ai lati abbiamo due muri ladroni in pietra, molto difficili da redimere”. Nel frattempo traevo dalla borsa dei ferri il mio schiodatore di crocifissi nuovo di zecca. Mi prendevano in giro quando l'ho acquistato, ma sapevo che non stavo buttando i miei soldi. Il prete gemeva silenziosamente, ma era ben conscio della mole di merda che produceva. Stavo per aggiungere “così il suo crocifisso avrà la schiena bella calda, visto che anche d'inverno sta a torso nudo”. Ma poi ho lasciato perdere. Non scherzo mai. Non rido mai. Perdi alla svelta la voglia di scherzare, quando il lavoro che fai è di merda.

Tu mi stai disprezzando. Sento le tue pupille indignate scorrere sulle mie riflessioni di merda, biasimando ogni volta che scrivo di merda. Merda, merda, merda!
Non è colpa mia. Hai fatto la tua scelta: detesti costipazioni e occlusioni, e abbisogni di poderosi conduttori per la tua merda. La tua, non la mia.

Quindi la merda scorre. Inarrestabile. Scalda le terga delle icone sacre e i ritratti degli antenati. S'infila dietro la dispensa, incurante delle raffinatezze che contiene. Passa per la camera da letto, osservando sonni popolati da incubi. Parte da vasi di piccolo calibro, e affluisce in grossi tubi arancioni di PVC. Da sistema linfatico diviene apparato circolatorio. Ogni casa ha le sue arterie, in cui scorre acqua pura. E le sue vene. Incrostate di merda. Io tratto la merda.

Un tempo si usavano tubi metallici, smaltati all'interno. Termoisolati. Il costo era alto; si poteva abbattere. Le plastiche diventarono sempre più sottili e porose, trattenendo nei propri alveoli particole di merda che da liquida solidificava. Questa patina ne aumentò la rugosità, quindi gli attriti. Oggi abbiamo merda meno fluente.
Gli sbalzi termici non aiutano. La coibentazione delle case di recente fabbricazione è ridicola. Caldo d'estate, freddo d'inverno. Pieghe, bolle, crepe nelle condutture. Colesterolo né buono né cattivo; semplicemente inevitabile. Hai mai visto dei muri permearsi di merda? Sembra umidità, all'inizio. Poi gli odori ti mettono il dubbio: sarà merda?

Naturalmente all'inizio tenti mille spiegazioni. “È solo che è umido. Quest'odore di chiuso svanirà aprendo le finestre una mezza giornata”. La merda è in effetti diluita, l'acqua la iuta a scorrere nei tubi. Panta rei, ti dici tu; ma non è vero. I liquidi scorrono, i solidi molto meno. Essi amano intrattenersi presso i loro stacoli. Quindi ti stazionano dietro le suppellettili, incuranti della tua repulsione bigotta.
“Senti qui, cara: sarà merda?” - “Oh, Orazio, non so dirti. Certo, sembra merda. Ma come può essere? Abbiamo rifatto l'impianto neanche ventimila anni fa, non può essersi già rotto”. Non può, soprattutto per la gravità delle conseguenze. Quella è casa tua. Il tuo porto franco, il rifugio dai tuoi lavori di merda metaforica, stolto che credi di essermi migliore. Vederlo impregnato di merda vera non è, semplicemente, un'ipotesi accettabile. Pure, è così.

La qualità si abbassa dappertutto. Dicono che sia un processo irreversibile. Un tempo si produceva con amore. Prima la funzionalità. Poi l'abbattimento del costo, l'estetica e la smaltibilità. Non di rado i prodotti avevano un indotto educativo.

A un certo punto, ecco bussare alla porta delle conomie capitalistiche il terzomondo impertinente. Che nel frattempo ha studiato, almeno un po'. Le nuove conomie nascenti. Cinesi. Indiani. Legano te, secolare lavoratore occidentale, al palo della tortura. Chiedono meno, molto meno: certe volte si accontentano di un terzo.
“Perché no?”, ridono gioviali i Cavalieri del Lavoro. Quindi licenziano, subappaltano, delocalizzano. I guasti non sono più riparabili. Bisogna rifare tutto da capo. Fino a inorridire della violenza dei colpi dati dai ragazzetti slavi sui muri delle loro case intrise di merda.

Io stesso, ligio alle tendenze del mercato, ho un disco che richiama il cliente bisognoso di concludere il suo tipico affare di merda. Trascorro le ore più liete, ascoltandolo mentre suona. “Buongiorno. Lei ha chiesto un preventivo per un merdodotto di tipo domestico. Se la casa è in costruzione, e l'impianto è da mettere in opera ex-novo, prema 1. Se l'impianto è preesistente e va ammodernato, prema 2. Lei ha premuto il tasto 2. Se la cubatura della merda prodotta mensilmente non è superiore a 0,02 metri cubi, prema 1. Se la cubatura non è superiore a 0,06 metri cubi, prema 2. Se la cubatura non oltrepassa i 0,10 metri cubi mensili, prema 3. Per quantità superiori, prema 4. Per riascoltare questo messaggio, prema 9. Per tornare al menù precedente, prema 0”.

Fantastico, fantastico. Quando al primo bivio telefonico premi il tasto 2, grande è l'urgenza. Tu non sai quantificarti la merda. Tenti di indovinare le dimensioni lineari di un campione mattutino, e di elevarlo al cubo, moltiplicandolo per i mattini contenuti in una mensilità; ma nel frattempo quel campioncino ostinato non sente ragioni e vuole uscire. Quindi nelle pause del mio disco favorito pronunci i peggiori improperi, augurandomi le più crudeli morti. Tu, col tuo animo candido, che poco fa ti scandalizzavi per la quantità di volte che ho scritto 'merda'. La tua indignazione è ingenua e tenerissima. Credi di avere del problema un quadro completo. Non sai che, a lavori conclusi, dal punto A di origine la tua merda verrà indirizzata in un diverso punto B.

Non ti chiedi mai, di quel punto B. Esso vegeta paziente, in qualche cantuccio dello spazio-tempo. Attende di germinarti le verdure, o il foraggio che foraggerà le tue bistecche. Ti aspetta nei mari in cui sguazzerai nelle tue rigeneranti e costosissime vacanze stive. Coverà le uova dei pesci prelibati di cui ti ciberai nei ristoranti più costosi.

Ognuno ha la sua merda. Il suo lavoro di merda. La sua vita di merda. Tu non mi faciliti le cose. Le tue sigenze sono per l'appunto solo tue. Spesso divergenti dalle mie.

Tu mi chiedi documenti, mi frapponi burocrazie, mi metti voti bassi agli esami, mi levi punti alla patente.
Mi curi le malattie svogliatamente, difendi i miei diritti per parcelle salatissime, commetti a mie spese errori giudiziari. Non mi rappresenti nelle democrazie rappresentative, storni i fondi, ascolti musica caraibica a volumi altissimi la domenica mattina. Stendi asfalti che alla prima pioggia saltano per aria, mi sbagli le previsioni meteorologiche, perdi le prenotazioni delle mie vacanze. Mi blocchi la carta di credito, aumenti i prezzi, vendi biglietti sfortunati, non inventi mai cure contro la calvizie.

Ma adesso ti frego io. Sto per brevettare un sistema di fognature wireless.




venerdì 23 maggio 2014

Puericultura.

 
















Il vero scopo delle scie chimiche era separare gl'ignoranti dagli stolti. Bastava studiare le reazioni sui social network.
Gl'ignoranti gnoravano. Continuavano a spammare le proprie attività effimere, o a postare citazioni poetiche nella speranza di rimorchiare; o quantomeno a far battute per far ridere i loro compagni.
Gli stolti nvece fremevano di sdegno e ribollivano di frustrazione. Le loro bacheche erano un coacervo di violenza solo verbale e rabbia mai espressa verso bersagli pertinenti.

Era una buona iniziativa, questa del Governo. Perlomeno funzionava. Con la Lira pesante e l'€cu il successo non era stato tanto netto. Una parte della popolazione ne era comunque infastidita. Piccola, ma chiassosa.
Anche quella volta in cui il Governo si era speso tutta la paghetta che gli passi ogni settimana per comprarsi degli aeroplanini F-35 tutti rotti. Perché protestare? Perché indignarsi?

Una volta, avrò fatto l'asilo, mi hanno dato una di quelle bellissime banconote verdi da Cinquecentolire, e mi hanno mandato al giornalaio a comprare Il Tempo e Il corriere dello sport. Questo in epoche in cui si permetteva di uscire ai regazzini senza stare a preoccuparsi della pretofilia odierna.
Insomma, come arrivo vedo un bellissimo giornaletto, tascabile ma spessissimo, dal titolo 'Gatto Silvestro pocket'. Scritto in alto - nero in campo bianco. In copertina c'era lui in persona: Gatto Silvestro. Teneva tra le zampe la gabbietta di Titti e si leccava i baffi, su sfondo tutto azzurro. Il copertinista non aveva ritenuto di dedicarsi ai particolari, dato il livello intellettuale dell'acquirente medio.
Lo guardo a lungo, e intensamente lo desidero. Ma le mie, di Cinquecento lire settimanali, erano destinate a Topolino. Non potevo saltare un numero, facevo la collezione.
Al che, quel provvidenziale giornalaio fa festoso: “Corriere dello sport e Tempo sono finiti!”. Il dado è tratto. Torno trionfante col mio doppio bottino fumettistico. Spiego a mio padre la meccanica dell'accaduto, e non mi stupisco del tutto del suo biasimo. “Potevi provare a un altro giornalaio, e comunque quei soldi non erano tuoi. Quelli tuoi li avevi avuti”. Non fa un piega. Quindi mi sequestra entrambi i giornaletti.

Prima di due ore, viene in camera e porgendoli mi dice “Puoi tenerli”.
Io faccio l'offeso, per appena due minuti. Poi li prendo, ma non sono soddisfatto. Il mio apparente successo ha un gusto amaro. Riesco a percepire il sentore dell'errore.
Capito? Elabora anche il peggio regazzino, o il Governo più monello. Anche se al momento non sembra. Questo è 1 paese a sfondo cattolico. C'è sempre il tempo per 1 ravvedimento.

Tu, popolazione sparuta e infastidita, mi ricordi quelle coppie di mezza età che non hanno mai avuto figli. I Governi, si sa, sono come bambini piccoli. Sono chiassosi e capricciosi. Pretendono da te attenzioni spesso ingiustificate. Ti salgono sui divani colle scarpe, non se le puliscono bene sullo zerbino, e fanno chiasso col pallone durante la tua pennichella pomeridiana.

Ma richiamarli in continuazione, o peggio ancora reprimerne le manifestazioni, è un sistema educativo sorpassato. Un Governo deve esprimersi, anche se in modi fastidiosi. Esso vuole capire sessei gnorante o stolto perché ama sondaggi, questionari e censimenti, che sono
i suoi giocattoli. Non devi biasimarlo perché non lo capisci: un tempo bramavi anche tu trottole e cavallucci. E poi, se reprimi 1 Governo da piccolo, ne farai 1 adulto insicuro e privo di equilibri. E 1 adulto può incasinarti molto più di quanto possa un bambino piccolo. Ad esempio, un sacco delle tue tasse serviranno a pagargli lo psicologo; e allora era meglio essere più tolleranti prima.

Non so te, ma sin da da piccoli i miei cuginetti e io ci rendevamo conto benissimo di questa differenza. Gli zii che avevano generato cuginetti erano più simpatici degli altri che invece no. Così come i miei nipotini sostengono che, fra gli amici del papà, i più simpatici siano quelli che fumano tuttinsieme certe sigarette fatte da loro.
Quindi, non ti lamentare per i centrini decentrinati sui tuoi tavoli. Il Governo ha bisogno di spazi per colorare i suoi disegni di legge. Non invidiarne i privilegi e l'inoperosità, mentre tu ti alzi tutte le mattine e affronti il traffico. Sei stato piccolo anche tu, e le pulsioni che avevi non erano tanto distanti dalle sue.

O forse no? Tu mi dici che a te qualche schiaffone te lo davano, e con questo lassismo educativo chissà dove andremo a finire?

Ti capisco. Anch'io, in effetti, a volte.
C'era questo fratellino piccolo di una mia amica. Aveva una decina di anni meno di noi, frutto evidente di precauzioni mal riuscite. Ma non se ne aveva a male, ed era l'entità più molesta che si potesse per sbaglio concepire.

Da dolescenti non ci lasciava giocare. Qualsiasi cosa facessimo, lui si metteva in mezzo. Ci rovesciava il tabellone del Monopoli. Era il più pericoloso degli Mprevisti. O
gni volta su quel grugno schifoso mi aspettavo una pioggia di schiaffi, la cui portata non riuscivo manco a immaginare visto che io non avevo fatto mai niente del genere, e pure di certe piogge m'ero inzuppato bene.

Invece niente. Non una zia, una sorella, una nonna, un padre, una madre. “No-no; non si fa”. Oppure: “Insomma, sei proprio impossibile!”, quando la cosa era proprio grossa. Era evidente che quel moccioso pestifero se ne beava. Anzi: avevo l'impressione che con provocazioni sempre più grandi e reazioni appena meno modiche questa esecrabile marionetta impazzita si tarasse il fondoscala, esplorando i limiti del suo universo conosciuto.

Da più grandi, il Monopolio che aveva su di me quella mia amica passò oltre.
La pubertà aveva ridisegnato gli equilibri. Lei adesso era detentrice di FREGNA,
traendo da ciò superpoteri nuovi. Era femmina, eppure mi cagava. Mi telefonava a casa, addirittura. Quello su cui adesso in equilibrio precario camminavo era un filo talmente sottile che per non rischiare di spezzarlo non osavo nemmeno farmici le seghe. Chiacchieravamo per delle ore. Sembrava provarne anche piacere. Certe volte rideva anche di brutto. Boh.
Quel pezzo di merda di scimmia
madornale ascoltava le nostre conversazioni su un'altra linea. Mandava a memoria le mie sternazioni più goffe, e al rivedermi le virgolettava tutte davanti ai genitori.

Io ti capisco. Anch'io a volte vorrei prendere il Governo a calcioni nel sedere facendogli salire le scale quattro a quattro. E, arrivati al quinto piano, arrampicarlo sulla terrazza condominiale, appendermelo per le orecchie tra le mani, stancarmele dondolandolo sul vuoto sottostante, guardarmelo negli occhi e dirgli: “Tu adesso cambi, capito? Non rompi più i coglioni. Mai più. Perché altrimenti io tornerò qua con le tue recchie, e col tuo moto ondulatorio metterò a prova più dura le mie maldestre dita di pianista”.

Non vergognarti di quello che provi. Avrai avuto anche tu, le tue suore alle Lementari. Colle loro cure-Ludovico, hanno provato a estirparti la cattiveria e i bassi istinti. Ora che sei grande, non negarli più. Essi esistono. Non è ignorandoli che ti migliori. Cerca piuttosto di tollerare. Se non di amare, addirittura.
Ama il Governo, ora ch'è piccolo: da grande lui saprà ricompensarti.

Quel regazzino orribile è cresciuto. L'ho incontrato nella metro, tempo fa.
Mi dice che è chirurgo. Nel suo praticantato, il professore gli ha preso le mani e gliele ha messe sul cuore aperto del paziente addormentato. V
iene un brivido, pensando a cosa poteva combinare la scimmia non ammaestrata di una volta. “Non affonderai mai il bisturi, se hai paura di toccare. Ecco, premi bene e guarda: non succede niente”.

Hai capito? Incredibile, non è vero?
Calmo, maturo, equilibrato. Piacevole a tratti, addirittura. Giusto un tantino un po' prolisso.
Pensa come mi avrebbe operato male, trovandomi a sterno sollevato su di un tavolo peratorio, se lo avessi davvero scosso per le recchie.
Non ti piacerebbe che anche i più immaturi fra i Governi ti effettuino 1 giorno perazioni favorevoli?

Stempera il tuo odio con le riserve giuste. I Governi, poverini, hanno la mortalità infantile più elevata. Non credere che i paesi che ne detengono il primato siano i soliti, i più esotici. L'Africa sub sahariana. L'Asia occidentale. L'America latina. Sorprenditi pensando che certe città europee sono non da meno. La disoccupazione galoppante. Il debito pubblico. La sanità privata.
 
Non so se è tempo perso, questo in cui ti spiego. Più ci penso, più mi sembri uno di quei cittadini insofferenti e di mezza età che non ha mai avuto un Governo. O se ce lo ha vuto, gli è morto fin da piccolo.

domenica 18 maggio 2014

Invertebrati, eusociali e no.

 













Portava un maglione in lana d'ombelico, che esaltava il profilo della sua ascella volitiva. Era basso, grasso, calvo e quarantenne. Ci si può accanire con qualcuno più di così?
Il suo nome non importava a nessuno.
È strano che sia proprio tu, a interessartene. Pare che la madre un tempo lo strillasse dalla finestra, richiamandolo a sé per cena.

Lavorava fin da ragazzino in un bar. Alla vendita dei tabacchi. Tutto il giorno lì. Sapeva la marca preferita di ciascuno, ma non porgeva mai il pacchetto finché non lo chiedevano.
Era il re, dietro il suo banco. La sua corte frettolosa blandirlo, doveva. Prendeva le giocate al totocalcio. Dispensava sfortunati gratta e vinci. Cambiava i gettoni al videopoker. Pagava per commissione multe all'erario di stato. Ma ciò che più amava erano le sigarette.
Ricordava il primo pacchetto venduto a ogni ragazzino timoroso, che adesso gliene chiedeva tossendo due-tre pacchetti al giorno. Sapeva di avere un ruolo importante nella selezione della specie.
Lui, non fumava.

La sera andava a casa. Una mansarda, ricavata nel sottotetto del palazzo del bar in cui lavorava. Casa e chiesa diresti tu, avido come sempre di metafore stantie. Mangiava quello che voleva, schifezze per lo più. Senza nessuna cura per l'igiene alimentare. Tanto, ormai. Non fumava, né beveva. Niente alcol. Solo bibite zuccherate e acqua minerale ben gasata. “Non ci si può fidare di ciò che esce da un rubinetto”, pensava in un residuo di salutismo. Poi si metteva davanti al televisore, e vedeva una serie dopo l'altra. Di tutti i tipi, ne vedeva. Soprattutto di belle. Criminali dai sentimenti nobili, eroi con un lato oscuro, fantascienza rivisitata. Quindi sapeva tutto, della vita.
Era la vita a non sapere niente di lui.

Deteneva chiaramente smodiche quantità di pornografia, amorevolmente catalogata in terabyte. Ciò che la natura non concede sa bilanciarlo con altre regalie. Gli elargiva, in ordine sparso: masturbazione, svaghi televisivi, papille gustative, un apparato evacuativo ben lubrificato, una connessione in fibra ottica. Aveva, in definitiva, la sua isola deserta. Una capanna. Da mangiare, e un arenile senza mai l'orma di piedi selvaggi.

In compenso, nella sua casa ovunque era la polvere dei secoli, in orme varie dal taglio rettangolare. Strenui comodini, valorose credenze e roici tavolini si nterponevano fra il suolo e i grani, sedotti dagli
rresistibili richiami del centro di massa della terra.

~~~

Cosa può succedere, a uno come lui?
Con la tua fretta rovini sempre tutto. Se avevi pazienza avresti saputo senza esporti.

Infatti, il protagonista è un altro. Alto, biondo, atletico. Una sensibilità raffinatissima. Pittore, di tele e non di muri. Aveva i suoi successi fino a poco tempo fa. Ora ha trent'anni, ha litigato coi suoi galleristi per fare le cose sue come dice lui. In effetti le fa, adesso. Quadri piccoli, che in quelli grandi è pigro e si disperde. Non escono mai fuori dal suo studio. Nel frattempo, insegna Anatomia artistica all'Accademia di Belle arti. Soldi nuovi lo guadagnano ogni giorno.

La vita
con lui è stata generosa. Che dire invece della sua generosità verso la vita?
Le sue giornate sono un continuo rimandare. Gravita in terminologie avulse. Snoda manichini privi di lineamenti. Mostra reperti biologici, calchi, preparazioni in tassidermia. Quando ha tempo e non è stanco dipinge un nuovo quadro. Poi lo attacca, in uno dei rari spazi ancora vuoti della sua grande casa; e man mano che la riempie ne rivede
l'assetto e la disposizione, secondo criteri talvolta cronologici, talvolta concettuali. È sempre pronto a illustrarli, ma la sua soglia la fa varcare a pochi. È sempre in forma, ma ogni prova la pospone.

Ma soprattutto, le donne. Ne ha provate molte, poi le ha restituite. Anche per più volte l'hanno fatto loro. C'è da dire che gli piacciono molto. Ma dopo averle provate - e
anche più spesso prima – non ricorda più perché non stia da solo. E solo torna. All'inizio è triste, accusa somatizzazioni varie. Poi gli torna l'euforia. Quasi del tutto impertinente, a ben vedere.
La sua recriminazione è: non se ne trova una che mi piaccia, non solo fisicamente, ma soprattutto come mia compagna di giochi imprescindibile.

Ora ti faccio un esempio di un usuale tuo scambio di battute.

“Ciao! Come stai?”
Bene grazie, e tu?”
"Io ho i cani, da portare la mattina"
"Sì, ma oggi c'è l'arcobaleno"
“Speriamo che prevalga il buon senso”.


Se è così, sarebbe meglio saltarne qualcheduna, e prenderlo piuttosto per il bavero. Ammesso che 'bavero' sia una parola ancora in voga. E a brutto muso dirgli “Guarda, non è tanto che se non cerchi è impossibile che trovi. Quanto il fatto che la zuppa Campbell, più che alla massaia che dovrebbe degustarla, piace al critico che badi all'etichetta. Ora, se tu curi allo spasimo la pettinatura e il tuo vestire, e l'artisticità di ogni tua natomia, getti le reti in un mare il cui pesce non ti piace. Se invece tentassi la battuta a cui vorresti una risposta a tono, forse potresti finalmente udirla”.

Ma fai bene a tirar dritto. Subito vedresti uscirgli rabbia, da uno sguardo ficcante o una mandibola contratta. La rabbia
stessa che da sempre di nascondere ha premura.
Ti farebbe, non del tutto dominandosi, “Ma se ogni volta che lo faccio scappano, o non ridono, o se ridono si stancano!”
Sarebbe vano rispiegargli la faccenda della zuppa. È più facile che il cibo l'affamato se lo cerchi nei secchioni, che dietro la Guernica.

~~~
 
Ma lascialo invece andare al mare. Perché lì si svolgerà la nostra storia.

È al mare che nei giorni feriali vanno i privilegiati dell'industria del lavoro. Quelli che contano il tempo in anni accademici. Lo scelgono come luogo di ritrovi. Con un libro che esprima i loro gusti, sofisticati ma leggeri, non temono alcuna solitudine. Anche lui stenderà il telo sulla spiaggia, sdraiandosi non lontano dalla sua preda potenziale. Si tufferà quando avrà caldo. Nuoterà, e tornerà a prendere il sole. Poi all'ora di pranzo la raggiungerà sotto l'ombra del bancone, e la soppeserà. La composizione percentuale della sua pelle sarà sempre troppo tatuata. L'inflessione, troppo provinciale. Troppo rientranti, le ginocchia.
E mentre l'esame non porta ad alcun esito, nell'istante di un colpo di tosse vedrà seduta al tavolo l'allegra famigliola del suo tabaccaio. Quello stesso che gli aveva venduto il suo primo pacchetto adolescente.

Lo vedrà attorniato dal chiasso dei figlioli, mentre la moglie li chiamerà all'ordine. Lei sì, ben preparata. Avrebbe saputo tutte le risposte. Li vedrà tornare all'ombrellone, poco distante dal suo osservatorio mimetico. Guarderà il sedere del più piccolo, trainato dal papà per le caviglie, tracciare una pista di palline. Li vedrà scavare tunnel, innalzare ponti, progettare curve paraboliche, piantare bandierine; in una gara che chiaramente il padre vincerà. Poi sarà un tripudio ornamentale di telline sui castelli, di schizzi entrando in acqua, di Algidi cornetti.
Vedrà la figlia media
in acqua coi braccioli, mentre il più grande proverà a battere le gambe sostenuto dalle braccia paterne. Li seguirà con lo sguardo nella familiare, mentre in preda allo stupore affronterà il tramonto scartando il secondo pacchetto della giornata.


Fallo andare al mare, e imparerà da solo. O forse no.
'Favole anche migliori illustrano la sorte della cicala inetta al calcolo', si limiterà a pensare.

domenica 11 maggio 2014

Selfie-control.




















Tutto cominciò quando un'ordinanza governativa proibì i Selfie. Fu la guerra.

D'altronde, come agire diversamente? La gente non lavorava più. I pedoni sbattevano l'uno addosso all'altro, sui marciapiedi. A ogni incrocio un incidente.
Duck face, kissy face, chicken-ass face con cui ammiccavano ragazzine acerbe e  ventenni colla barba. Generavano invidie. Suscitavano indignazione. Altri ragazzini e ragazzine erano meno sicuri della condivisibilità del proprio aspetto. Comitati di genitori si preoccupavano. Torme di professoresse avevano bloccata la didattica.

I selfie nascevano da un'autocelebrazione narcisistica, e finivano al suo opposto. Ansia di affermazione, in un'epoca in cui esprimere sé stessi pareva impossibile. Ricerca di conferme e rassicurazioni, dietro l'alibi di un'espressione buffa. “Io sono qui, e tu no”. In vacanza. A una festa. Ai tropici, quando d'inverno i colleghi lavoravano. Potresti pensare che si autoritraessero solo fisici palestrati e carnagioni abbronzate. Invece no. I rotoli di ciccia non scoraggiavano. L'importante era esserci, si vedesse pure il braccio cadente a reggere il cellulare.

Un tempo su pellicola si centellinavano gli scatti. Le digitali invece intasavano ogni chilobyte. L'autoscatto esisteva fin dal primo dagherrotipo; ma ora v'era accesso a ogni singolo fotogramma del quotidiano, anche il più insulso.

Le prime Società di Morigeratezza sorsero spontanteamente nella primavera del 2019, in ogni comune provvisto di fibra ottica. Alcuni movimenti si costituirono in organizzazioni nazionali, influenzando coi loro voti la politica. Da tempo del Selfie si faceva un uso eccessivo, con seguenze spesso devastanti a livello sociale. Il Selfie era responsabile del 25% della miseria, del 37% della masturbazione, del 45,8% della nascita di bambini deformi, del 25% delle malattie mentali, del 19,5% dei divorzi e del 50% dei crimini commessi nel Paese.
All'inizio del XXI secolo s'insinuò la percezione che l'uso di selfie portasse a negligenze sul lavoro, all'assenteismo, allo spendere i soldi in smartphone e non in altri beni generati dal sistema produttivo. Fra i nomi eccellenti che in questo periodo si dichiararono favorevoli alla proibizione totale ricordiamo S. Laurel, O. Hardy, S. Riina, L. Bobbitt e Platinette, i quali finanziarono la Morigeratezza versando enormi quantità di denaro.

Con tali fondi a disposizione, molte Associazioni ottennero grande visibilità. Il loro apporto fu determinante per l'approvazione dell'Emendamento “Selfie-control” del 2020, che prevedeva la “proibizione di ogni produzione e utilizzo, anche moderato, di qualsiasi ripresa statica e dinamica di sé”. Il Senatore V. Luxuria, primo firmatario della legge, dichiarò all'indomani dell'entrata in vigore: "I profili umili presto apparterranno al passato. I server resteranno vuoti. Tutti gli uomini cammineranno di nuovo eretti, tutte le donne e tutti i bambini sorrideranno gli uni agli altri, e non gli uni degli altri. Le porte dell'inferno si sono chiuse per sempre". Gli smartphone furono allora dotati di
sensori di inclinazione e app obbligatorie, che in caso di nfrazione disattivavano il sistema operativo.

La sera del 15 gennaio, data dell'entrata in vigore del provvedimento, migliaia di ultimi scatti si riversarono nella rete. Già alle 00.45 del 16 gennaio tre bande armate assaltarono treni in tre posti diversi, rapinandoli dei carichi di telefonini di vecchia generazione destinati alle discariche differenziali. Si inaugurò così una lunga era di contrabbandi e mercato nero. Le conseguenze della proibizione, logiche a pensarci prima, furono infatti la comparsa di spositivi adulterati, dalle missioni nocive in quanto non soggetti a controlli di qualità. I prezzi salirono alle stelle, controllati da trafficanti coalizzati in cartelli. La polizia veniva sistematicamente corrotta.

L'ordinanza non sortì alcun effetto. I selfie erano uploadati su server di nazioni neutrali, praticamente irrintracciabili. Gli IP dinamici facevano perdere il sonno alle Polizie Telematiche. Il provvedimento, che sulle prime si limitava a punire trafficanti e faccendieri, si estese agli utenti civili. Fu promulgato lo “0-bit” Act. Ragazzini e ragazzine in tenera età, casalinghe disperate e incensurati pater familias si ritrovarono incriminati, e finirono in carcere. Nelle province gli amichetti di una vita erano separati da madri apprensive, che ammonivano i figlioletti a non giocare più con quei monelli, data la loro inclinazione criminale. Agli ultimi non restavano che i margini della società, e un nuovo mondo di frequentazioni illecite.

Frequentazioni che infatti prosperavano. I
n un attimo fu la Guerra. Lo stato di New York dichiarò guerra alla Libera Repubblica di Frosinone, importante crocevia di tutti gl'ingegneri elettronici disoccupati del Mezzogiorno d'Italia. Protetta dai colli che circondano la valle del Sacco, gli abitanti resistettero a ogni tentativo di assedio. Fu istituito il Passaporto Cangiante, in pratica vecchie cornici elettroniche abilitate dagli hacker ciociari all'autoscatto, cui doveva prestarsi il richiedente del permesso di transito e circolazione.

Iniziarono i primi bombardamenti di una violenta guerra asimmetrica. La popolazione civile rispondeva con atti di guerriglia
. Il costo in vite umane, insopportabile. L'opinione pubblica fu scossa dall'esecuzione di un infante di 3 mesi, colpevole di essersi maldestramente appoggiato al tasto sul bordo del cellulare lasciato in giro da un genitore irresponsabile, azionando su di sé la fotocamera. “Il massacro degl'innocentie”, intitolarono i mass-media.

La verità era che chi non rinunciava ai selfie, nonostante l'entrata in vigore del proibizionismo, poteva tranquillamente averne ancora. Sorsero club esclusivi a ogni angolo. Un nome amico e la giusta parola d'ordine aprivano porte segrete. Il selfie-addicted vedeva schiudersi un mondo proibito di gangster violenti e pupe discinte ben disposte a ccoglierlo, purché non lesinasse sulle mance. Gli Ava-bar, li chiamavano. I cittadini spendevano per i propri loschi affari molto più tempo e rischi sociali di prima.
Il consumo di una droga profondamente radicata nella società, improvvisamente proibito da una legge, aumentò l'interesse per i selfie. Prodotti
e distribuiti adesso per canali clandestini, trasformando gli ava-bar in catacombe contemporanee, in cui gli adepti ricevevano la loro iniziazione criminale.
Il Governo capì presto la portata dell'errore. La rinuncia alla tassazione dei selfie aveva fatto perdere svariati miliardi l'anno. Ben presto vennero istituite nuove tasse, che colpivano i contribuenti
più ricchi.

I grossi finanziatori del proibizionismo aprirono gli occhi. Essi avevano sostenuto la crociata anti-selfie per il timore delle perdite di tempo sul posto di lavoro. Dovevano ammettere di aver fallito. Fra i primi a farsi indietro, H. Lecter, L. Barbareschi e F. Indovino.

Anche la moglie di quest'ultimo in un'occasione pubblica ebbe a dire "Non vogliamo che i nostri ragazzi crescano nell'atmosfera degli Ava-bar. Prima del proibizionismo i miei figli non avevano il permesso per i selfie, ora ne trovano ovunque”.
Venne applaudita da tutti i parlamentari. Molti di costoro, avendo raggiunto la carica con l'appoggio delle Società di Morigeratezza, non osavano parlare contro la proibizione. Abbracciarono così il fronte antiproibizionista colossi quali la Nestlé, la Monsanto e la G. Rana.

Alle ore 17.27 (ora di Frosinone) di martedì 5 dicembre 2033, si sancì la fine dell'Emendamento “Selfie-control” e dello “0-bit” Act: milioni di civili poterono ritrarsi in orge di selfie collettivi e regolarmente tassati, facendo impennare le entrate del Governo. Con il rifiorire dell'industria dei selfie vennero anche creati circa un milione di posti di lavoro.

Tredici anni di lotte fratricide. Migliaia di affiliati a bande criminali legate al mercato nero del selfie, che da un giorno all'altro
videro andare in fumo un business di miliardi. Ciononostante grazie al “Selfie-control” si radicarono nel tessuto urbano, perfezionando l'arte della corruzione di funzionari e dell'infiltrazione mafiosa. Per poi nvestire i capitali acquisiti attraverso estorsione in azioni legali e società offshore. Evolvendosi in un feroce darwinismo criminale.

Sono soli, i soggetti dei selfie. Anche i loro oggetti sono soli. Lasciamo che le solitudini si parlino tra loro. Tacendosi così, semplicemente.

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