Migliaia di preti abusati, centinaia di zone infestate da bimbi pretofili che gli educatori si limitano a trasferire da un asilo all'altro, ostacolando le indagini della polizia. Commissioni d'inchiesta, condanne, scuse pubbliche (“Non lo fazzo più!”) che secondo gli esponenti del clero non possono bastare.
Nel 2002 in Australia il bimbo R. E., di 7 anni, fu condannato per aver abusato di numerosi preti, fra cui il suo catechista di 32 anni. S. A. , un altro bimbo di 8 anni di Tucson (Arizona) fu giudicato colpevole per aver sedotto 830 volte il suo confessore, inducendolo a tentare il suicidio. In Texas, nell'Arcidiocesi di Houston nel 1995 il governo aveva deciso di occuparsi del problema costituendo un “Comitato di vigilanza infantile sugli abusi pretofili”. Uno dei membri più noti era R.M., di 11 anni. Quando lo nominarono, i vertici del comitato sapevano già che era sotto inchiesta per diversi casi di abusi clericali. Più tardi sarebbe stato descritto dai suoi stessi superiori come un “predatore sessuale” (“Houston, abbiamo un problema”). E le condanne continuano.
La grande ipocrisia della società contemporanea, pronta a stracciarsi le vesti per ogni nuovo caso di pretofilia che venga alla ribalta, nei fatti ignora il dramma di migliaia di preti che ogni anno subiscono violenza. Per questo, benché si tratti di un argomento estremamente doloroso, anche alla luce del suo triste e rapido aumento è quanto mai opportuno occuparsene, per approfondirlo e - possibilmente - prevenirlo.
Spesso siamo portati a immaginare il bimbo pretofilo come una sorta di sporcaccione, lascivo e trascurato. Se così fosse sarebbe piuttosto semplice individuarne quelli che presentano evidenze pretofile, ma purtroppo le cose sono diverse. Molti bimbi con questa patologia scelgono aree di gioco in cui possano interagire con i religiosi, poiché esserne idealizzati come figure candide e innocenti li aiuta a mantenere un immagine positiva di se stessi.
Altro aspetto da non sottovalutare è la crescente diffusione in rete di materiale preto-pornografico. Oltre allo scambio di foto di sacerdoti, suore, canonici colti in atteggiamenti religiosi e pii, si denotano tentativi di adescamento online di esponenti del clero da parte di bimbi che cercano di formare rapporti di fiducia, se non di vera e propria amicizia, finalizzati a richieste di sesso virtuale o di incontri al di fuori della rete. Per il ministro di un qualsiasi culto diventa sempre più difficile tirare fuori il proprio i-Ped senza rischiare le moine di un bimbo.
L'indignazione dei mass-media per l'ennesimo caso di abuso pretofilo si scontra con l'ipocrisia di una società che per molti versi tollera o addirittura perdona le manifestazioni di natura pretofila. Si dà il caso di un bimbo veneto che, processato per aver abbordato il vescovo che lo stava cresimando, s'è visto riconoscere dal giudice le attenuanti generiche perché “il sentimento era vero”. Ancor più grave, se possibile, è stata la vicenda del bimbo pretofilo siciliano accusato di aver molestato almeno 116 seminaristi, cinque dei quali ridotti in fin di vita, che ha inciso diversi cd musicali con un noto coro infantile, tuttora acquistabili su piattaforme online, per i quali “riceve regolarmente i diritti d'autore”.
Ensemble di voci bianche, catechismi, asili tenuti da istituzioni religiose; tutti luoghi che pullulano letteralmente di abbordaggi a cielo aperto, di bimbi che muovono boccoli d'oro e guance rosee all'indirizzo di chi dovrebbe educarli ai più alti valori morali. Ed è insopportabile la spocchia con cui costoro, questi bimbi, si ergono a campioni di innocenza e a modelli di candore. I bimbi dovrebbero rallegrare i cuori, e non intristirli. Dalle sagrestie, bimbi pretofili travestiti da chierichetti lanciano i loro sguardi voluttuosi agli officianti fino agli altari su cui essi celebrano le funzioni religiose. In alcuni diari infantili sono stati trovati elenchi di abusi fatti, episodi, memorie, fino a veri e propri manuali per restare impuniti. Una volta appostati nei conventi, nelle canoniche, negli oratori, è tutto un fiorire di nasi che colano, ginocchi che si sbucciano, occhi che implorano, e ogni altra attività cui tipicamente si dedica il bimbo licenzioso.
Di contro, non sono rari i preti che raccontano gli abusi subiti ai superiori, vescovi o cardinali; ma spesso ricevono ammonimenti e perfino botte. Anche in presenza di casi conclamati ci si scontra spesso con un muro di silenzio. I preti molestati non vogliono quasi mai parlare della loro esperienza, che può arrivare a comprometterne il successivo equilibrio psicofisico. Ciò non è dovuto solo a sentimenti di vergogna, di diffidenza verso un estraneo, o alla paura di ritorsioni ecclesiali. Le vittime tentano di rimuovere quanto vissuto e le angosce connesse, in modo tanto più rigido quanto più grave sia stato il trauma affettivo. I preti si convincono che ciò che hanno subito dai bimbi è giusto, ed è accaduto per colpa loro, perché hanno bisogno dell'ideale di un bambino “buono” e ne negano la componente abusativa e violenta. Il ragionamento che si snoda nelle loro menti è lineare e disarmante: “I preti buoni vengono amati, io invece non sono stato amato e quindi sono un prete cattivo”.
Sovente il bimbo ritiene il comportamento sessuale l'unico mezzo utile per una comunicazione affettiva e relazionale con il prete, e dà luogo all'abuso. Inutili gli ammonimenti con cui le gerarchie ecclesiastiche tentano opere di prevenzione (“Non accettare caramelle dai bimbi sconosciuti”). I preti sottoposti a esperienze coercitive dimostrano in genere una grande fragilità e diffidenza, e una paura eccessiva degli altri preti. Anche quando da un punto di vista giuridico si configura per le vittime la possibilità di risarcimento (intere comunità infantili costrette a farvi fronte dichiarano ogni giorno bancarotta), tali risarcimenti non bastano a pagare anni di psicoterapie.
Molti preti che subiscono l'abuso sessuale in un contesto di gioco non avvertono un trauma reale, grazie come detto a meccanismi difensivi difficili da aggirare. Esistono vari test indicatori d'abuso, utili a cogliere la verità senza traumatizzare il prete. Eccone alcuni:
- il gioco con bambole o bambolotti, nei quali siano riprodotti in dettaglio collari sacerdotali, paramenti sacri e tonache religiose; spesso l'elaborazione fantastica, la chiarezza semantica, il livello di coerenza delle dichiarazioni e una conoscenza della psiche infantile inadeguata per l'età, aiutano ad individuare i casi più nascosti.
- analisi mediche e di laboratorio (test del Muco, delle Caccole e della Sporcizia infantile), che dovrebbero essere condotti con cautela al fine di evitare esperienze intrusive.
- analisi comportamentali ed emotive, che possano rilevare disturbi del sonno e dell'alimentazione, depressioni, paure, erotizzazione dei comportamenti, disinteresse per le attività religiose.
La letteratura scientifica dimostra che il primo passo da percorrere con il prete è cercare di fargli capire che ciò che ha vissuto non coincide con le "normali" esperienze che un soggetto della sua età di solito vive.
Sarebbe sbagliato assumere un atteggiamento ottusamente critico nei confronti di ogni fascia di età infantile. Il mondo è pieno di bimbi innocenti ed equilibrati, che in questo momento sono impegnati solo a giocare. Per colpa di alcune mele marce non si può gettare tutta la cesta nella pattumiera. E occorre sopra ogni cosa aiutare le vittime. Che se ancora c'è al giorno d'oggi un prete che riesce a scappar via battendo in velocità il sinite parvulos, cioè quei sciagurati regazzini animati dal tristo sentimento della pretofilia, il pover'uomo merita tutta la comprensione di cui siamo capaci noi scampati.