Chi ti riga la carrozzeria della macchina? Non una riga sola, pronunciata, diritta. Frutto di un parcheggio azzardato, un carico sporgente, una manovra sovrappensiero. Righe leggere, frettolose, nemmeno parallele. Come sottolineature di un presbite.
Chi sono quelli che rigano le macchine in sosta, lasciate diligentemente in fila lungo i marciapiedi da persone fiduciose del loro contesto sociale?
Ragazzini.
Prendi quei due, per esempio. Uno alto, grosso. Grasso al punto di non avere pomo di adamo. Senza l'ombra di barba. Capelli lisci, riga da una parte. Corredo genetico di padre ricco, avvocato di successo avanti cogli anni, e madre svampita, più giovane e bella, che si tiene in forma ogni mattina in palestra, facendosi di the deteinato e pasticcini gluten-free colle amiche il pomeriggio, raccogliendo fondi in serate mondane per gli orfani della nazione stuprata del momento. Genitori distratti di un pargolo ciccione, che lancia sguardi cattivi e ostenta gesti violenti, aiutato dalla sua mole, cercando di spronarsi i testicoli a secernere testosterone.
O il suo amico. Anche più alto, ma magro. Allampanato, qualsiasi cosa voglia dire. Gli occhi a palla che guardano intorno e ridono sempre. Spalle larghe, che sta pensando di irrobustire con la palestra. Fra qualche anno si accorgerà di avere un bel fisico, e ne avrà il successo conseguente. Nel frattempo è cresciuto troppo in fretta, ed è completamente scoordinato.
Hanno provato a entrare nella squadra di rugby del liceo, attratti da codici paramilitari e slogan destrorsi. Accolti con entusiasmo dall'allenatore, sempre a caccia di giovanotti nerboruti e di vittorie ininfluenti con cui riscattarsi una carriera sportiva stroncata dal valzer di un pilone sul ginocchio destro. Ma c'erano troppe controindicazioni. Fatica, sudore, allenamenti. Regole, soprattutto.
Meglio, molto meglio beccarsi il pomeriggio. Soprattutto se hai in tasca i soldi mai versati del trimestre al rugby. Dici che vai, ma hai smesso da un pezzo. Tra quelli e la paghetta settimanale di una famiglia bene c'è da stare allegri. Lo spilungone citofona al ciccione. Scendono chiavi in mano, formula distruttiva per le altre macchine. Vagano per il quartiere senza meta. Un quartiere benestante e relativamente nuovo, di commercianti arricchiti e rampanti professionisti. Gente che sfoggia benessere recente, abbronzature artificiali e mammelle ancora calde di chirurgo estetico. Figli di operai che si sono fatti il culo, ripagati dalla vergogna dei rampolli per la loro ignoranza, che hanno ereditato, elaborato e moltiplicato in nuove aridità tutte loro.
Tappe obbligate una lattina di Coca-Cola, e la rete metallica con dentro i culi di ragazzina che giocano a pallavolo nella scuola di suore. La gelateria, sebbene la panna montata su un cono non sia il massimo per sembrare cattivi. La pubertà è un affare troppo recente per resistere ai richiami della gola.
La chiave ideale non è quella lunga, stondata e ingombrante delle porte blindate. Le chiavi di casa restano appese al moschettone nel passante dei jeans. Quelle dello scooter lavorano meglio. Spigolose, angolari. Tagliano come e più del diamante. Le vernici metallizzate smettono di rilucere all'istante. Sono le migliori. Si aprono come il Mar Rosso ai piedi di Mosè, sanguinando più cromo delle pazze carrozzerie pastello anni ottanta. Gli United Colors of Benetton stanno per finire.
I culi di ragazzina sanno di essere guardati. Continuano a giocare come se niente fosse, lanciando giusto qualche risolino in più. Biasimano i teppismi che rendono famosi il ciccione e lo spilungone, eppure si lusingano dei loro sguardi. Questione di tempo e qualcuno dei giovani bacini, i più prosaici, riterranno quei riti di iniziazione sufficienti, e vi si protenderà contro. C'è sempre un'utenza, per qualsiasi prodotto. L'importante è che sia ben pubblicizzato. Questione di tempo, e il ciccione e lo spilungone avranno i loro bacini. Smack.
Lo spilungone e il ciccione camminano. Il ciccione è serio e nervoso, mentre gli occhi a palla dello spilungone ridono come sempre, ruotati qua e là dal suo collo a periscopio. “Tira la mascella in fuori”, dice il ciccione. “Perché?” “Ti fa più cattivo”. Camminano sul marciapiede tenendo il mazzo delle chiavi in mano. La più affilata tra pollice e indice, lasciata scorrere sulla fiancata delle macchine parcheggiate. Prima il ciccione, rancoroso. Poi lo spilungone, divertito da ogni graffio come fosse il primo. Procedono così, a velocità di crociera. Si fermano. Tentano una sigaretta e tossiscono, col piede sul paraurti di una macchina particolarmente sfortunata, che avrà ghirigori anche sul cofano posteriore, segni inarticolati, scritte, talvolta cazzi. La loro passione sono gli stemmi. Ne sfoggiano vari, cuciti allo zaino. I più facili da staccare sono le stelle Mercedes. Una botta sicura e via, lasciando al proprietario il problema di estrarre la vite spezzata da dentro il supporto. Conservano a casa i migliori trofei. Un Jaguar originale il ciccione, uno scudo Porsche lo spilungone. Sognano di imbattersi in una Rolls-Royce, per mettersi alla prova i riflessi. Lo Spirit of Ecstasy (questo il nome della statuetta alata, si documentano i nostri, altroché) si ritrae all'interno dell'alloggiamento, se toccato da malintenzionati. Una volta, bevendo a una fontanella, accostò una Testarossa. Il proprietario scese a comprare le sigarette. Si trattava di strapparlo e scappare, lo scatto a piedi non è tra le skill del ferrarista di mezza età. Si guardarono senza parlare. Il cavallino nitriva alla loro volta. Un anelito di libertà? Chissà. Ma vano. Il panciuto signore, a sigaretta accesa, poté dar di sprone al cavallino intonso, rimasto impastoiato sulle liste cromate del radiatore. Sai tu perché? La freschezza dell'acqua? L'indivisibilità dell'oggetto? Una forma ancestrale di rispetto per un mito nazionale, forse. Non infrequente in culture anche più primitive.
Certe volte si accaniscono sulle scritte. “CITROËN” si smonta e diventa “CITRONE”. La cosa di cui vanno più fieri è aver rimosso - erati bi - da una Maserati Biturbo. Come ridevano, quel giorno, gli occhi dello spilungone! Perfino il ciccione abbozzò un sorriso. Trovavano un senso le estati in cui i bambini più magri giocavano a pallone, mentre lui le scandiva in settimane Enigmistiche.
Altre volte staccavano le antenne dai tetti di due macchine, e le incrociavano sfidandosi. “In guardia, fellone!”, “In guardia, marrano!”. Del tutto ignari dei codici cavallereschi da cui quei termini derivavano, non dissimili dagli altri più etici, penali, civili, e da tutti gli altri dogmi che avrebbero volentieri fatto a pezzi. Incuranti del disagio in cui sarebbero incorsi i proprietari delle autovetture. Piacerebbe anche a te rinchiudere questi pseudoteppistelli figli di papà nel riformatorio di una città degradata? L'unico reality cui varrebbe la pena di assistere. Se tu fossi una vecchietta, una di quelle che prendono il the (perché le vecchiette prendono il the e non lo bevono, semplicemente?), con la tua vocetta flebile diresti: “Ma perché questi ragazzoni si comportano così?”. Io ti risponderei che il ciccione prima credeva. Poi, data la sua pinguedine, ha dubitato. Prima faceva il bene per non far piangere Gesù; adesso fa il contrario per sortire proprio quell'effetto. Troverà un giorno, tra i due estremi, il suo equilibrio? Capirà che il bene, proprio e altrui, è sempre la scelta più conveniente per sé e per tutti? Mai lo sapremo, se con la tua voce contraffatta continui a farmi divagare così. Allo spilungone il teppismo è capitato per caso, finendo al ginnasio nello stesso banco del ciccione. Altri ragazzini amano invece i trattori, o i dinosauri. Nel frattempo, ai malcapitati in età scolare di questa terra si continua a dare in risposta un Congresso di Vienna (1814), il coefficiente angolare di qualche retta o una perifrastica. Come a un vecchio cane un osso.
Quel pomeriggio di primavera inoltrata le occasioni mancavano. Faceva caldo, e i culi di ragazzina aspettavano ore più fresche per sfidarsi. Le macchine parcheggiate erano dozzinali. I pedoni mancavano, rendendo la trasgressione del graffio meno elettrizzante. Troviamo i due, curvi sul dorso di una FIAT Panda. Uno stacca lettere col coltellino. L'altro gliele tiene e gliele passa alla bisogna. In genere il braccio è lo spilungone, il ciccione è la mente. Quella volta no, il ciccione fa entrambe le cose. Consulta le sue tessere. Calcola, permuta, anagramma; e alla fine, fattosi passare l'attaccatutto dallo spilungone, si risolve per un FinTa. Niente di che. Ordinaria amministrazione. Ma anche un cabalista mediocre sa che variare l'Ordine delle lettere può essere pericoloso. Ecco staccarsi dall'orizzonte una sagoma.
Conoscevo uno convinto che il termine che designasse un tipo di uomo basso e magrolino fosse fruscello. Questa persona, nella sua esilità, del fruscello era l'archetipo. Alla distanza si rivelò spiacevole; ma nel lapsus era stata toccata dalla luce. Certi termini equivoci possono rivelarsi migliori dell'originale. Quella erre infilata nel mezzo ci stava divinamente, un tremolio che dava meglio l'idea della magrezza. Non sarebbe bellissimo fermare tutto e dire “Alt! Siamo in presenza di una parola migliore; occorre subito una riforma del vocabolario”?
La sagoma apparteneva ad un ragazzetto già uscito, anche se di poco, dalla pubertà. Il ragazzetto, oltre che esile, era basso. Confrontato ai due, uno corpulento, l'altro allampanato, sembrava una popolazione ridotta di un quarto. Era chiaramente il guidatore della Panda. Addirittura il proprietario, forse. L'abbigliamento non tradiva un grande potere d'acquisto. Se la FIAT Panda apparteneva a lui, doveva aver firmato molte cambiali per possederla.
Potremmo, io e te, continuare con l'osservazione del ragazzetto. La camminata spavalda, la testa alta per darsi sembianze di cui la bassa statura necessitava, tradivano un'appartenenza ai ceti inferiori. Sai quelle comitive di ragazzetti che fumano presto, sputano in terra, a cavalcioni del motorino su marciapiedi che non sai se percorrere sperando di non essere notato, o abbandonare attraversando la strada, rischiando i dileggi conseguenti?
Di certo era meglio che a osservare andasse avanti il ciccione. Avrebbe notato un setto nasale storto, indice di pratiche pugilistiche non banali. Ad avanzare era un buon peso mosca dilettante, dove il diletto escludeva professionismi e non abilità. Non gli si sarebbe parato davanti, tronfio della sua mole, subito imitato dal compare spilungone. Non avrebbe iniziato la frase “Checciai da guarda'”, arrivata neanche ai due terzi. Ma siamo ottimisti, io e te. Anche capendo, si sarebbe sentito al sicuro dietro il numero doppio. Se pure avesse provato a fuggire, il fruscello lo avrebbe raggiunto agilmente, e avrebbe subìto la stessa sorte. Non avrebbe tentato i pugni dell'inesperto, da sopra a sotto come in un film di Bud Spencer. Solo lì quei pugni possono andare. Un pugno, per funzionare, non può limitarsi al peso di un braccio, che per quanto ciccione varrà dieci chili. Deve partire dal terreno, ampliarsi nella rotazione del tronco, e caricarsi della massa non del solo fruscello (che tende a zero), ma dell'intero pianeta (che rispetto a mfruscello tende a infinito). Nella circostanza, dopo una schivata appena accennata, l'intero pianeta finisce nel fegato del ciccione, che si piega su se stesso, raggiunto da altri colpi su mento e tempie, perdendo all'istante i sensi. “E lo spilungone? Che fa? Non interviene?”, dici allora tu. Lo spilungone, come ogni altro fessacchiotto inetto alla vita, scappa via e guarda tutta la scena da dietro un angolo. D'altronde al ragazzetto non interessava, vedendolo come un qualsiasi elemento del paesaggio. Per quanto ne sapeva lui, a lavorare di temperino sulla carrozzeria era stato il ciccione.
Cosa provi ora tu? Ti facevano rabbia, i due giovani mentecatti? E ora che sembrano vedersela brutta? Iniziano a farti pena? Strano come la vita sia povera di toni netti, e ricca invece di sfumature. Non è vero?
Quello che vide lo spilungone, lo tenne per sé. Mai lo raccontò ad alcuno. Né a chiedere ragguagli ulteriori fu il ciccione. Che, dal momento che te l'ho praticamente rivelato, rimase vivo. Quando riprese i sensi aveva i calzoni calati, con fuori le palline non ancora del tutto scese e il pene, anche lui cicciottello. Sentiva del caldo colargli sull'inguine, e quel caldo era sangue. Ci mise un po' a capire cosa gli era successo. Una volta a casa, pulendosi la ferita, fu in grado di ricostruire.
Vedeva allo specchio, incise sul pube, delle lettere. Era difficile decifrarle, sia guardandole dall'alto capovolte, sia riflesse al contrario dallo specchio. “IИPOT”, riuscì a capire poi. La I era alla sua destra, e la T sotto l'ombelico. Come se ne mancassero altre. Come erano state incise? La cicatrice non andò mai via del tutto. Difficile che il solco fosse frutto di una chiave. Lo spilungone aveva visto il ragazzetto metterglisi sopra a cavalcioni, tenendogli le braccia tra le gambe per bloccarlo se fosse rinvenuto. Cosa che non fu. Aveva tirato fuori dalle tasche un taglierino, con cui che ne sai, magari sballava bancali al supermercato. Le aveva incise con quello, profonde e sottili. Non c'erano curve. La O era un rombo, e la curva della P erano due segmenti, come il segno 'maggiore di' nelle disequazioni. La N era rovesciata a specchio. A lungo si chiese se per scarsa dimestichezza con la scrittura, o a perfido rimando alla FInZioNe subìta. Dannata Enigmistica. Era chiaro ciò che mancava al marchio d'infamia: un ente. Ma neanche una mancanza tanto ontologica toglieva senso. Eppure su quello non indugiava, almeno coscientemente. Ad opera chiusa, pure la seconda N sarebbe stata invertita? Riusciva a riflettere solo sui significanti e sulla loro grafia; il significato gli restò per sempre subliminale. Tatuando una vita intera di potenze sessuali potenzialmente dissipate.
Lo spilungone aveva vissuto la scena come in sogno. Avrebbe potuto strillare, chiedere aiuto. Come negli incubi senza voce, era rimasto zitto. Più che per paura, perché affascinato dalla scena. Lo stesso fascino per cui imitava i graffiti metalmeccanici dell'amico ciccione. Sapeva che a metà dell'opera il ragazzetto s'era rialzato perché disturbato da alcuni lontani passanti. Schivando il sangue colante, gli aveva frugato nelle tasche; trovando i soldi del rugby era stato rimborsato, e aveva lasciato perdere. Anche il ciccione, una volta cosciente, a tasche alleggerite lo aveva capito. Oltre all'incisione beffarda, il danno. Alzandosi il ragazzetto gli aveva sputato. Ecco spiegato il sangue diluito di certi punti. Aveva raccolto le lettere mancanti, abbandonate per terra dallo spilungone, e sulla sua FinTa se n'era andato.
Tu, che nelle favole della tua infanzia coglievi sempre un insegnamento, vorresti sapere qual è il senso di tutto questo? Cosa imparare da questa storia? Non so. Né mai conosceremo la reazione dei malcapitati. Si saranno incattiviti ulteriormente? Avranno lasciato perdere certe finzioni da duri? Saranno diventati più accorti nel delinquere, o solo più vigliacchi? L'omissione di soccorso avrà sciupato questa bella amicizia? E le carriere che ci aspetteremmo dai rampolli di famiglie bene come le loro, ne risentiranno?
L'adolescenza è un'età inquieta. E anche il resto non scherza. Uno cerca. Cerca di fare quello che ritiene giusto in quel momento, e che magari per altri può essere sbagliato. La morale è oggettiva per alcuni, soggettiva per altri. Poteva evitarsi, una cosa così? Il lanciatore di sassi dal cavalcavia di prima dei telegiornali l'ha fatta franca, e solo lui conosce il brivido che gli percorre la schiena al sentire invocare la pena di morte per i suoi poveri - perché no? - successori. Ora ha una cattedra universitaria, o è in ospedale a salvare vite, mentre loro completano la loro formazione affettiva in un carcere. Nella vita sei già fortunato se hai fatto in tempo a trovare non dico risposte giuste, ma almeno le domande. Potremmo continuare a infilare luoghi comuni per ore, che è poi la risposta che sceglie la persona di buon senso.
E io, che sembro saperla tanto lunga, quali riti di iniziazione mi sarò inflitto per uscire dall'adolescenza? Che cazzate avrò fatto? Meno o più gravi di queste? M'avrà detto anche peggio, o sarò stato più fortunato?
E te?