giovedì 20 agosto 2015

Nascondino


















Ma, per una volta, parliamo di te.

Tu eri piacente. Addirittura ti percepivi bello, in qualche occasione.
Avevi un lavoro. Dignitoso al punto di non vergognartene, quando ti davi in società. 
Tra mille interferenze avevi finalmente trovato il modo di sintonizzarti su di te. Riuscivi pian piano a capire chi eri. Ti compravi delle cose. Vestiti, mobili, macchine. Ti caratterizzavano.
Andavi in vacanza. Visitavi mostre. Cercavi i libri che ti piacevano e li leggevi, anche più volte, trovandoci sempre cose nuove. La cernita di amici validi e somiglianti ti rassicurava. Riuscivi a individuare le giuste serie tv. Ti iscrivevi in palestra e ti ci allenavi. La tua forma fisica era spesso ineccepibile. Lasciavi trapelare all'esterno pochi elementi studiati e spiazzanti, che ti conferivano un certo fascino.
Eri misurato. Camminavi lento, mettendo la giusta distanza tra un passo e l'altro. La tua schiena era dritta, il tuo capo, finalmente, alto. Guardavi le persone negli occhi, cercando di capire se i teatrini che vi si svolgevano dietro potevano interessarti. Non ti facevi problemi a rivelare i tuoi, quando ti andava, impermeabile a ogni giudizio.
Avevi trovato il giusto equilibrio fra risate e lacrime, dettate entrambe da gioie e dolori. Le piangevi o le ridevi davanti agli altri, decidendo se ti piaceva continuare a farlo a seconda delle reazioni. La tua impermeabilità alla loro pertinenza o all'impertinenza ti faceva sentire forte.
Avevi sviluppato vari modi. Dall'umorismo sgangherato a quello tagliente, dalla battuta demenziale alla più cinica. La tua varietà timbrica ti faceva spiccare. Questo, solo quando di calcare il tuo palcoscenico lo decidevi tu, regalando i tuoi biglietti a spettatori scelti.
Ti davi al gioco creativo. Giocare ti aveva interessato da subito. Nei modi e nei tempi che stabilivi. Avevi scoperto la soddisfazione di inventarne le regole. Perfezionarle. Il numero dei partecipanti si era andato restringendo, fino a farti preferire i più solitari. Costruivi un prodotto. Musicale o pittorico, scultoreo o verbale. Non aveva importanze se non contingenti. Quando ne eri soddisfatto lo ritenevi chiuso, e lo rimiravi. Ogni tanto decidevi di rivelarlo, e gli apprezzamenti eventuali non ti lasciavano indifferente. Ne ricavavi la spinta per altre creazioni in quantità esponenzialmente maggiori della produzione di partenza.
Ti pettinavi colla riga a sinistra. Una volta avevi provato a farla dall'altra parte. Per curiosità. I tuoi capelli non erano convinti, e tendevano alla ribellione. Prima di uscire tentavi abbinamenti cromaticamente convincenti, tra capi di vestiario sceltissimi. Per valorizzare l'altezza, superiore alla media, e gli altri punti di forza del tuo fisico. Ampia circonferenza toracica. Collo muscoloso. Figura slanciata. Spalle larghe. Per la maggior parte del tempo stavi lì a pensare cosa metterti.

La tua vera vita ti stava sempre ben chiusa nella testa.



Adesso non avertene, ma diciamo qualcosa di me. Giusto i tratti essenziali.

Io ero la cosa in agguato. La contrattura al collo, l'automobilista sbadato, il pedone distratto, il burocrate sgarbato, il pianoforte che cade dal quinto piano, il cancro ai polmoni, il genitore cattivo, la sua morte prima di farci pace, l'esame fallito, la pena immeritata, la multa sul parabrezza, il sacco della spazzatura che d'estate si rompe sotto, il proiettile vagante, il cedimento strutturale, il tris che non entra a Risiko, la vera e propria sciagura, l'imprevisto fastidioso.

Che emozione. Ora conto fino a cento e ti vengo a cercare.

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