C'era una volta un tizio che non sopportava di vedersi sempre tra gli occhi il naso.
Il suo nome era Mynus Habens. 'Mynus' per gli amici, se ne avesse avuti. Il suo campo visivo variava, di volta in volta. Cose più o meno piacevoli. Ma al centro sempre la stessa. Il naso.
Poteva vederne i due lati a seconda dell'occhio che chiudeva. Quando era il sinistro vedeva il neo che aveva sul lato destro. Sul lato sinistro invece non c'era nulla di rilevante.
Queste operazioni le faceva di rado, e affannosamente. A farle troppo spesso rischiava d'impazzire. Poteva vedere varie cose, della sua faccia. I baffi. Il labbro superiore, e quello inferiore. Parlo chiaramente di un'ispezione senza specchi. La lingua. Il mento invece no. Niente mento. E la punta del naso.
Il resto del naso era solo un'ombra. Ma perenne. Era questo a essere inaccettabile. Parlavi con qualcuno, e l'ombra del tuo naso si metteva in mezzo. Guardavi un film, e la fotografia doveva fare i conti con sempre la stessa macchia sfumata, al centro della scena. Leggevi un libro, e tra le pagine c'era sempre lo stesso ectoplasma.
La fortuna era che il più delle volte non ci faceva caso. Quando ciò avveniva, non poteva tollerarlo. Non riusciva a respirare. Se era sdraiato nel suo letto, doveva tirarsi su col busto di scatto bestemmiando, e fare almeno un respiro totalmente profondo. Se non era nel suo, di letto, la cosa era più imbarazzante. Succedeva così. Il fiato gli mancava di colpo. La riscoperta del naso gli cortocircuitava i polmoni. L'aria finiva all'istante. Era strano. Gli sembrava di ricordare che da piccolo riusciva a stare con la testa sott'acqua per più di un minuto. Non che gli piacesse molto farlo. Non aveva mai sopportato le costrizioni, fisiche o psicologiche. Postumi di un'educazione repressiva. Provava l'apnea per gareggiare cogli altri bambini, e da grande per immergersi sott'acqua quando faceva il bagno. Era come volare. La sensazione di libertà compensava la claustrofobia di avere masse d'acqua sempre più grandi tra il respiro e la sua possibilità.
Un'altra cosa che andava bene, quando il naso tornava ad imporsi alla sua attenzione, era una corsa forsennata. Uno scatto improvviso, possibilmente all'aperto. Il cuore che batteva all'impazzata e il fiato mozzato lo distraevano. Anche guardare il cielo andava bene. Verificare che c'era almeno una via d'uscita, infinitamente vasta. Quel cazzo di naso. Poteva tagliarselo, non credere che non ci avesse pensato. Ma purtroppo era sano di mente. Era chiaro che avrebbe introdotto problemi più grandi. Per esempio, la luce poteva riflettersi all'interno della cavità nasale e accecarlo col suo riverbero. Oppure, avrebbe avuto addosso gli sguardi più o meno indiscreti della gente. Hai mai visto le facce della gente? Sono brutte. Mynus ci faceva caso spesso, ma di solito si fermava prima di arrivare a pensare che tecnicamente era gente pure lui. Poteva esserci qualche crema che gli offuscasse i contorni del naso? Probabilmente no. I colori riflettono la luce, come il bianco. O come il nero la assorbono. Tinture trasparenti non sono ancora state inventate.
Il problema poteva accrescersi. Con la stessa logica, allora, poteva sicuramente vedersi le palpebre. L'interno, intendo. Non avrebbe mai visto nessun'altra palpebra dall'interno. O magari sì, se avesse adottato soluzioni da maniaco seriale. Ma era troppo normale, per infilarsi in vicoli ciechi dalle conseguenze più problematiche che vantaggiose. Per non parlare delle implicazioni etiche.
Allora faceva caso anche alle palpebre. Cercava di capirne il colore. Erano pensieri che non potevano durare più di mezzo secondo. Oltre, c'era la morte per soffocamento.
Aveva ipotizzato un color carne particolarmente rosso e sanguinolento, come quando cerchi col fazzoletto di tirarti fuori un ciglio dall'occhio. Poi si era ricordato che nessun colore si può vedere al buio. Quindi aveva accantonato il problema delle palpebre con un certo sollievo, per tornare a occuparsi di quello del naso.
Il naso era un organo che faceva senso. In tutti i sensi. Impossibile tagliarselo. 'Come farà chi ha il naso aquilino?', si domandava. Il suo era retto. Un bel naso, dicevano. Forse era fortunato chi ne aveva uno rincagnato, da pugile. Doveva essere un sollievo, poter fissare in eterno un ectoplasma di dimensioni più discrete. Forse non si vedeva per niente.
Ma anche un puntino sarebbe stato sufficiente per impazzire.
Le palpebre erano più simpatiche. Ma celavano altre insidie.
Hai presente quando ti stendi al mare, e finalmente ti rilassi? Cioè, tu vorresti rilassarti. Poi, gli occhi che hai chiuso tornano a vedere. Cellule. Maledette. Sono capelli, sembrano capelli. La lunghezza è maggiore dello spessore. In mezzo c'è un punto. Non può che essere il nucleo di quelle cellule. Se butti gli occhi in su, le cellule schizzano in alto. O in basso. O di lato. Non puoi mai spegnere il proiettore. L'unico modo di farle sparire è aprire gli occhi, e riarrotolare lo schermo. Ma certe volte continui a vederle anche controluce, e allora anche lì l'unica è alzarsi di scatto, buttarsi in acqua e sperare di finire addosso a qualche medusa.
Ecco là il neo, sulla parte destra. O era la sinistra? Doveva pensare alla sua, di destra, o a quella del tizio che aveva di fronte? Quello, se si fosse distolto dal guardarlo fisso, si sarebbe girato portandosi appresso il neo sulla sinistra. Misteri troppo grandi, per venirne a capo.
Non c'era solo l'ombra del naso. Per esempio, nessuno sembrava mai far caso alla morte. La propria, intendo. Sempre quella degli altri, e solo quando non se ne potesse fare a meno. Mynus invece era assolutamente preso dalla sua morte. L'unica discrezione che lei gli usava, era non venirgli in mente in continuazione. Era meno presenzialista di certi nasi. Quando Mynus pensava alla sua morte, non riusciva a vedere altro. Perché radersi o lavarsi, perché studiare o lavorare, se non per lo stretto indispensabile? A che pro amare, odiare, indignarsi o primeggiare?
Mynus allora si guardava intorno. Non aveva mai visto nessuno tanto ignorante da ignorare una cosa così. Nessuno sembrava pensare alla propria morte. Tutti sarebbero morti. Nessuno sembrava turbato dalla comparsa nel campo visivo del proprio naso. Possibile che fossero così distratti? O sapevano qualcosa che Mynus ignorava? Qualche trucco, o qualche informazione supplementare?
Secondo Mynus, era impossibile essere così ignoranti. Della propria morte, e di quelle altrui. Troppe cose si facevano tutti i giorni, completamente falsate dal non tener conto della morte di ciascuno.
Mynus aveva una teoria. Ognuno dovrebbe aver su un numero. Chi 65, chi 21, chi 84. Metti che due si prendono colla macchina a un incrocio. Senza quel numero, è subito un gran litigare su chi abbia la precedenza. Con quei numeri, invece, 84 sarebbe molto più conciliante con 65. “Mi dispiace di essere passato proprio in quel momento” - “Ma no, cosa dice, colpa mia che non ho visto il rosso” - “Beh, poco male, tanto la macchina è vecchia, non sarà un graffio a cambiare le cose”.
Invece, tutti litigavano. Anche senza motivo. Tutti in competizione, tutti contro tutti. I furbi contro gli etici. I forti contro i deboli. I poveri contro i ricchi. Scordandosi quotidianamente le proprie morti si perdeva regolarmente la prospettiva.
Ma era meglio che il numero indicasse l'età della propria morte, o gli anni che rimanevano da vivere?
Mynus aveva riflettuto, al riguardo. Avere addosso gli anni mancanti richiedeva aggiornamenti annuali e scomodi. L'evidenza sarebbe stata inelegante. Meglio segnalare l'ultimo compleanno, lasciando agli astanti il beneficio del dubbio, a seconda di quanto uno si portasse più o meno bene gli anni.
Mynus aveva sempre un sacco di buone idee, quando non gli veniva in mente il naso. O forse era proprio il naso, colla sua impertinenza, a impedirgli di distrarsi. Di perdersi in frivolezze. Non era il caso, per esempio, di lanciarsi in avventure sentimentali. Ci pensi? “Ehy bambola, è tutta la sera che ho voglia di baciarti” - quando all'improvviso ecco frapporsi il naso. Il giorno dopo, tutti avrebbero parlato dello scatto furioso di Mynus. E a Mynus avrebbe dato fastidio.
Non so. Non era un mondo adatto. Mynus avrebbe trovato ragionevole vivere in un posto dove un terzo degli abitanti per volta si lanciasse in scatti forsennati in direzioni varie, non appena resosi conto del naso. Un mondo in cui fosse normale sedersi e fissare il terreno senza sorprendere i
passanti. Sentendoli al limite commentare “Eh, gli è venuta in
mente la sua morte, chissà quando ventura”. E invece non aveva mai sentito nessuno preoccuparsi del proprio naso, se non per il punto di vista altrui. Gli occhi delle persone non rilevavano cellule, o almeno nessuno sembrava preoccuparsene. E molti si tatuavano cose sulla schiena, o in altri punti dove non se li sarebbero mai visti da soli. Che orrore. L'unica cosa che, facendo uno sforzo enorme, lui si sarebbe tatuato, era da spalla a spalla, in caratteri gotici e scarsamente leggibili.
'Fesso chi legge'.
A un certo punto, nel vivo di quei ragionamenti, il naso smise di comparirgli. Fu quando Mynus scoprì il numero che avrebbe dovuto portare lui.