"Un altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero."
Jorge Luis Borges, L'Aleph.
1 - Parole.
Non invidiarmi.
Non invidiare la mia casa, accogliente e ordinata. I maligni la dicono piccola; ma piccola rispetto a cosa, o a chi?
Non certo piccola rispetto a me. Non più di quanto sia la conchiglia per il paguro o il carapace per la testuggine. Se io cresco, la mia casa cresce con me. Oppure, se mi va, posso cambiarla. A piacimento solo mio.
Posso lasciarla austera, se il mio umore vuole, o glorificarmi nel più meraviglioso dei palazzi. Posso variarne la forma come il più pazzo o incosciente degli architetti non potrà mai. Libero dalle regole della statica da cui tu ti lasci soggiogare. I miei detrattori insinuano che io non ne sia capace, sostenendo che nessuno abbia mai potuto osservarne le modifiche.
Ma, che modifiche? Questa, di casa, preferisco. Non provo alcun bisogno, né ricordo di averne mai provato, di ostentare le mie capacità.
Non invidiare neanche quelle. Anche se so bene quanto magnifiche siano. Ricordo quando mi accorgevo di ciò che posso fare. La mie azioni mi erano normali, ma ne vedevo la grandezza nella meraviglia di chi le osservava. Dunque le allenavo, mi potenziavo, miglioravo. Perché, t'indovino a chiedermi, quando sostengo l'effimero di tutte le cose?
Perché ho pensato di saper compiere cose stupefacenti. Le mie imprese destarono ammirazione, nonché l'invidia che ora chiedo a te di non provare. Ho pensato per un istante che quello potesse essere il mio appagamento, e il mio destino. Attraverso le mie gesta e le mie opere potevo ottenere non tanto glorie e onori, frammenti spiccioli di eternità; quanto ciò che pure a lungo mi stette più a cuore.
L'approvazione. Totale, definitiva, priva di dubbi. La sensazione di sentirmi completamente approvato, più che ammirato. Lo ammetto: in altri tempi mi è stata vitale. L'ammirazione non è che una patina. Ciò che più conta è l'approvazione, e io nella mia vita certamente ne sono stato oggetto.
Ma tu non invidiare neanche questo. Non farlo mai, per quanto possa inebriarti l'approvazione altrui, o per quanto ti inebri la sua mera ricerca. Perché quando la trovi, e ne sei appagato, non puoi non chiederti chi abbia conferito a chi ti approva l'autorità di approvarti.
Chi sono, questi avventori? cosa sanno della tua arte? cosa credono di comprendere, della tua vena? Da loro non voglio premi di latta e fango, non voglio consegnarmi al loro giudizio, non voglio rischiare di essere irriso, io, da un filisteo incompetente, per una mia occasionale distrazione.
Quindi mi fermo, nell'esoscheletro della mia casa, che mi sono costruito a mia misura. È questo il mio potere; non operare magie per allocchi, ma saper prevedere esattamente ciò di cui ho bisogno, e conoscere con precisione ciò che mi piace.
E tu, solo per questo adesso scrivo, non devi invidiare in me nemmeno la facoltà magnifica di saper vedere e capire, in ogni angolo delle cose.
Perché c'è un punto, un punto solo, in cui non vedo. Non distinguo nemmeno se sia lontano o vicino. Se io riesca a nasconderlo con i miei sforzi, o se invece sia in bella mostra al pellegrino stanco che voglia appoggiarci i gomiti per riposarsi, o al villano che decida di sputarci addosso.
Per questo ora sto chiuso nella mia casa, e quando per le intemperie del caso io mi sposto, lo faccio con la svelta goffaggine del paguro, o con la lentezza ottusa della testuggine. Facendomi irridere, e ridendone e piangendone io stesso.
Non c'è tifone o uragano, né tempesta di sabbia o tromba d'aria, che possa stanarmi. Non colpi pesanti né tocchi gentili mi faranno aprire l'uscio.
Non puoi avere invidia per un'entità onnipotente, ma vulnerabile alla carezza. Lamiere si sciolgono, corazze svaniscono, per calcolo sapiente o, forse peggio, contatto inconsapevole.
Ed eccomi al servizio della mano che per studio o fatalità ha saputo sfregare la mia lampada. Depredato dalla velocità, inerme più di un neonato, scervellato e cieco, ad eseguire ciò che un genio crede di dovere.
Perché senza desideri io, io non vivo.
Non invidiare la mia casa, accogliente e ordinata. I maligni la dicono piccola; ma piccola rispetto a cosa, o a chi?
Non certo piccola rispetto a me. Non più di quanto sia la conchiglia per il paguro o il carapace per la testuggine. Se io cresco, la mia casa cresce con me. Oppure, se mi va, posso cambiarla. A piacimento solo mio.
Posso lasciarla austera, se il mio umore vuole, o glorificarmi nel più meraviglioso dei palazzi. Posso variarne la forma come il più pazzo o incosciente degli architetti non potrà mai. Libero dalle regole della statica da cui tu ti lasci soggiogare. I miei detrattori insinuano che io non ne sia capace, sostenendo che nessuno abbia mai potuto osservarne le modifiche.
Ma, che modifiche? Questa, di casa, preferisco. Non provo alcun bisogno, né ricordo di averne mai provato, di ostentare le mie capacità.
Non invidiare neanche quelle. Anche se so bene quanto magnifiche siano. Ricordo quando mi accorgevo di ciò che posso fare. La mie azioni mi erano normali, ma ne vedevo la grandezza nella meraviglia di chi le osservava. Dunque le allenavo, mi potenziavo, miglioravo. Perché, t'indovino a chiedermi, quando sostengo l'effimero di tutte le cose?
Perché ho pensato di saper compiere cose stupefacenti. Le mie imprese destarono ammirazione, nonché l'invidia che ora chiedo a te di non provare. Ho pensato per un istante che quello potesse essere il mio appagamento, e il mio destino. Attraverso le mie gesta e le mie opere potevo ottenere non tanto glorie e onori, frammenti spiccioli di eternità; quanto ciò che pure a lungo mi stette più a cuore.
L'approvazione. Totale, definitiva, priva di dubbi. La sensazione di sentirmi completamente approvato, più che ammirato. Lo ammetto: in altri tempi mi è stata vitale. L'ammirazione non è che una patina. Ciò che più conta è l'approvazione, e io nella mia vita certamente ne sono stato oggetto.
Ma tu non invidiare neanche questo. Non farlo mai, per quanto possa inebriarti l'approvazione altrui, o per quanto ti inebri la sua mera ricerca. Perché quando la trovi, e ne sei appagato, non puoi non chiederti chi abbia conferito a chi ti approva l'autorità di approvarti.
Chi sono, questi avventori? cosa sanno della tua arte? cosa credono di comprendere, della tua vena? Da loro non voglio premi di latta e fango, non voglio consegnarmi al loro giudizio, non voglio rischiare di essere irriso, io, da un filisteo incompetente, per una mia occasionale distrazione.
Quindi mi fermo, nell'esoscheletro della mia casa, che mi sono costruito a mia misura. È questo il mio potere; non operare magie per allocchi, ma saper prevedere esattamente ciò di cui ho bisogno, e conoscere con precisione ciò che mi piace.
E tu, solo per questo adesso scrivo, non devi invidiare in me nemmeno la facoltà magnifica di saper vedere e capire, in ogni angolo delle cose.
Perché c'è un punto, un punto solo, in cui non vedo. Non distinguo nemmeno se sia lontano o vicino. Se io riesca a nasconderlo con i miei sforzi, o se invece sia in bella mostra al pellegrino stanco che voglia appoggiarci i gomiti per riposarsi, o al villano che decida di sputarci addosso.
Per questo ora sto chiuso nella mia casa, e quando per le intemperie del caso io mi sposto, lo faccio con la svelta goffaggine del paguro, o con la lentezza ottusa della testuggine. Facendomi irridere, e ridendone e piangendone io stesso.
Non c'è tifone o uragano, né tempesta di sabbia o tromba d'aria, che possa stanarmi. Non colpi pesanti né tocchi gentili mi faranno aprire l'uscio.
Non puoi avere invidia per un'entità onnipotente, ma vulnerabile alla carezza. Lamiere si sciolgono, corazze svaniscono, per calcolo sapiente o, forse peggio, contatto inconsapevole.
Ed eccomi al servizio della mano che per studio o fatalità ha saputo sfregare la mia lampada. Depredato dalla velocità, inerme più di un neonato, scervellato e cieco, ad eseguire ciò che un genio crede di dovere.
Perché senza desideri io, io non vivo.
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Subito perle e gioielli si materializzarono su pesanti vassoi d'oro massiccio.
"Lo crederesti, madre?" disse Aladino. "E' sparito appena un attimo dopo avermi soddisfatto."
"Lo crederesti, madre?" disse Aladino. "E' sparito appena un attimo dopo avermi soddisfatto."
2 - Musica.
La lampada di Asterione by OID music