domenica 14 dicembre 2008

Forature.

Na cosetta veloce (*), che oggi non ciabbiamo tempo da perdere nessuno dei due.

Cena dai miei, quindi televisione.
Tg5 che trabocca di 'articoli di costume'. Servizi sul natale, sui prossimi regali, su certi pinguini che
non ricordo in quale zoo avevano vestito da Babbinatale. Sui videogiochi di ultima generazione, sui negozianti che ora sono contenti di come gli inizia l'onda dei regali.
Occhio che ho detto 'servizi' sul natale eh, mica uno solo. Ma tanti, spezzettati, costituiscono le notizie del giorno. Insieme al maltempo e alle immagini catturate da un cellulare che mostrano una donna coreana che cià il suv appeso a un carrattrezzi che glielo sta per portar via, ma lei è più lesta ed entrata in macchina se ne va portandoselo appresso, rendendogli pen x ficaccia. Ma a un certo punto finalmente arriva la pubblicità, quella vera dico, e con lei la possibilità di pensare.



Pensare cosa? Beh, l'inizio è un conseguente e necessario 'Porcamadonna'.
Ma parlate di me, piuttosto! Perché non ci sono io, al Telegiornale? Eppure io nel mio piccolo sono 1 autentico coacervo di notizie-bomba, senti qua:

  • sono calvo e gli Altri Prelati (tradendo la totale assenza di spirito di categoria) non vogliono che io mi spalmi i feti in testa, e con loro le cellule staminacee
  • desidero sistematicamente le cose che non posso permettermi
  • se mi ammalo muojo di fame, non potendo più lavorare
  • a meno di non gravare finché posso su residui di un passato socialmente ancestrale (i miei genitori, buoni & bravi)
  • ho la dipartita IVA ma di fatto sono un dipendente
  • per quella minima parte della settimana in cui lavoro guadagno bene (dico in proporzione, non credere chissà che) e ho un sacco di tempo libero
  • ma ogni altro essere su questo pianeta no! e quindi che ci faccio?
  • vivo costantemente a un passo dagli psicofarmaci
Visto? roba da fermare subitissimo le rotative.



Poi, è Ruota della Fortuna. Dalla conduzione dell'orrido Mikebongiorno dei pranzi familiari di 15 anni fa, a quella di Enrico Papi – Victoria Silvstedt. Un salto temporale con modalità digitali, senza alcuna continuità, che mi consente delle sensazioni ben precise. Eccole qua.
  • I modelli archetipi del vincitore sono quantitativamente pari al numero dei sessi legalmente riconosciuti (ma l'ex onorevole Lussuria sta colmando il vuoto legislativo a grandi passi, coccerte sue presunte vittorie). Cioè due.
  • Il primo è Enrico Papi. Chissà se se lo sarebbe mai immaginato lui stesso.
  • Quindi, oggigiorno il maschietto può vincere nonostante panza e occhiacci lenticolari; ma solo a patto di sfoderare la sua verve umoristica in raffiche di battute che non dovrebbero far ridere alcun avente diritto alla vita. Dal che deduci pure che, visto che il senso della vita è sparararsi in vena delle gran dosi di fica & successo, scòrdati di indugiarti le tristezze. Al limite scaricati dai siti americani gli antidepressivi più in voga.
  • La seconda è Victoria Silvstedt. Ovvero, l'abrogazione della legge Merlin. 'Ovvero ovvero' (cit. neo-testamentale), il 'Colpo Grosso' definitivo: lo strip-tease integrale delle cervella.
  • Chiedo scusa alle Vere Mignotte. Professioniste esemplari, leali e indefesse, che regalano sensazioni autentiche in cambio di compensi a definizione alta davvero. Non esiste infatti che il cachet di una mignotta debba essere un pacchetto generico di cene-gioielli-malumori-viaggi-regalìe-automobili-MinisteridelleDisparità. Le Vere Mignotte secondo me sono delle ragazze d'oro. Tu gli chiedi una cosa, loro ti dicono di sì e ti chiedono in cambio una cifra precisa, altrimenti è no. Sta a te vedere o rilanciare. Certo, la qualità della partita immagino dipenda dallo spessore dei giocatori, ma com'è giusto che sia. Meglio ch'accanno di decantà, che più continuo e più non mi ricordo più perchè non sta bene rivolgersi a codeste Signorine. Potrei scoprire che è sempre per quei residui di paura delle Jesus' tears, e allora sarebbe conseguente lasciare che tutto specie me vada a puttane.
Ma mannaggialSolito, non posso cenare con davanti le ignudità di una coi sisoni in pvc e le gambe di Schwarzenegger, mi fa schifo vedere un naso talmente rifatto che inesiste quasi quanto quello di Michaeljackson. E la pietanza più invitante mi è indigesta quando vedo sdoganati gli ammiccamenti più troieschi di fronte all'incapacità sistematica di capire ciò che attorno gli succede, a quella troia contraffatta. La Finanza dovrebbe tutelare le Vere Mignotte. Non è possibile che arrivano questi carichi di mignotte estere senza alcun certificato che ne attesti le qualità che anzi è evidente che non ci sono, a inflazionarci il mercato. Cottutti quei derivati del petrolio che ciànno dentro sossicuro che non so nemmanco ignifughe.

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Poi però mi ricordo che io sono completamente soggiogato dal fascino virile di Umberto Eco, e quindi non voglio né essere né, dirò di più, fare (parafrasando l'editore Pendolare Garamond) né l'Apocalittico né l'Integrato. Ho fatto il primo? Fammi essere un po' anche secondo.

Accanno chiasmicamente & immediatamente la seconda serie di probbblematiche.

Sei maschio e vuoi accanto una femmina patinata ma tridimensionale? Goditela. Poi ti voglio vedere quando ti dovrà co-educare i figli o semplicemente sostenerti la conversazione per qualche minuto successivo a, e lei sarà solo capace di risponderti ammiccando. Non fumarci vicino, piuttosto. Te la ricordi, sì, la puzza di plastica bruciata nei portacenere.

Sei femmina e mascheri l'attrazione che provi per il Potere con il tuo amore per le Matte Risate? Vattelappiandercùlo.

(poi comunque sto comportamento mica è nuovo, è dalla preistoria che le femmine sono attratte da chi cià la clava più grossa, così come il maschio è attratto da chi gli allatterebbe meglio la prole; quello che mi sconvolge è che trovo divertente girarci attorno romanticamente o eroticamente, a st'argomento, mentre invece si sdogana esplicitamente & vieppiù la decerebralità, qui mi fermo sennò ricomincio).

Chiami Telegiornale la manco tanto subliminalità dei tuoi messaggi publicitari? Bah.
Ora il Telegiornale è quando mi dici a pranzo e a cena che devo comprà, perché ci stanno cose tanto fiche e perché sennò i commercianti piangono. Oddio, i commercianti in effetti stanno simpatici a tutti, campano con poco e alle loro tasse si deve che so, la Sanità Pubblica e l'Istruzione.
Ma prima, che io ricordi, m'inscenavi comunque i Teatrini della politica. Craxi diceva A a Forlani il quale sollecitato da Andreotti chiosava B provocando le reazioni C delle piazze capitanate da Belinguer e le proteste indignate C di Pannella che s'ingollava rabbioso il piscio mentre Papa S(anto) S(ubito) invocava la Pace nel mondo mentre spendeva i suoi vigorosi giovanilismi in estenuanti session fotografiche con i principali dittatori latinoamericani.

C'era un gioco sulla Settimana Enigmistica, “Il Bersaglio”. Ora lo faccio, ma breve-breve.

Il Teatrino è Rappresentazione. La Rappresentazione può essere Catarsi. La Catarsi a sua volta è purificazione, spurgamento da una contaminazione.

Ecco; non c'entra un cazzo. Qui non è che ti devi sentire migliore. Non ci si basa su una tua presunta capacità di percepirti; anzi si dà per scontato che questa capacità tu l'abbia persa già colle prime puntate del Drive In.

Questi creano emergenze per autolegittimarsi i toni del reclutamento elettorale. Il trucco è dannatamente propagandistico, dirò di più (continuo a parafrasare): calcistico.

Così come il romanista aveva bisogno di Paolodicanio e i suoi ghigni romanamente insalutistici e il laziale necessita di Pupone Tottigò, il fascista ha bisogno del comunista come accade x il viceversa. L'antiproibizionista ha bisogno del proibizionista. L'ultras ha bisogno del celerino, e il celerino dell'ultras. Sennò, la domenica se ne stanno a casa tuttieddue. L'uomo è un ballerino provetto. Gli piace una freca di danzare questi balli, ecco perché io schifo il ballare. Tranne certi passettini di danza piccoli-piccoli tra ateismi e credenze. Machecentra, dovresti vederli quei passettini, sono d'1 grazioso irrinunciabile.

Quindi al Telegiornale, quando non è 'Articolo di Costume', è tutto 1 urlare allùpo allùpo sui pericoli della Democrazia, sui pericoli del Comunismo, sui pericoli della Dittatura Mediatica, sui pericoli del Maltempo, sui pericoli della Sicurezza. Perché coll'allarmismo ti metto la strizzalculo, e collèi ti strapperò il voto dalla matita copiativa. Non si fa. Si fa piuttosto crescere il senso critico dell'elettorato, e con lui la capacità di discernere i propri veri desiderata.



Ci sarebbe da aggiungere che ora i concorrenti si gufano esplicitamente tra loro, che le concorrenti quando si chinano a girare la Ruota mostrano le mammelle in scollature jenerose quanto presumo obbligatorie, che i riferimenti letterali non sono più 'D' come Domodossola (quindi hanno praticam. azzerato questa città) e nemmanco Alpha-Bravo-Charlie, ma qualche creativo amante del brivido s'è inventato che ora le iniziali si riferiscono o allo stereotipo professionale o macchiettistico incarnato dal concorrente, o in mancanza d'altro a doppi sensi generici. Ci sarebbe da aggiungere pure che la famiglia italiana che un tempo era bigotta ora sorride indulgente a certe licenziosità. Prendi la mia. Sono stato buttato della mia collez. orig. di Dylandog nell'epoca di massimo splendore della stessa, quando i collezionisti l'avrebbero pagata parecchie centinaja di Milalire quando colle centinaja di milalire ci potevi comprà tanta roba per davvero. Perché? Perchè le figuranti ciavevano le sise di fuori. Non fa niente che ivi figuravano in bianco&nero senza manco i toni di grigio a renderle più intriganti, quelle portavano le sise di fuori e quindi il loro posto era la mondezza. Ed ero grandicello eh, la mia ventina di anni celavevo. Ora invece la stessa Buttafuori, pur di vedersi i suoi giochini enigmistici, tollera di buon grado certe scollature, e soprattutto l'uso giulivo che si fa delle cervella ignare che a quelle mammelle ignude dovrebbero attaccarsi. Il tutto sia detto senza intenti di rivalsa, eh. Quello fu davvero un sopruso ingiustificabile, orribile, una vera violenza, fatta a sorpresa, per nulla mitigata dal realizzare in seguito che Dylandog sucks e i suoi moralismi pure. Ma boh, coi miei mi sento molto ma molto più debitore che creditore, mi commuove percepirne la qualità e la quantità del bene che mi vogliono e non sono affatto certo che sarei un genitore alla loro altezza. Per quanto porcodio nessuno rispetterebbe mai i fumetti di 1 prole quanto me.
Il mio intento è invece palesarmi nel rimpiangere Oscar Luigi Scalfaro che mette i suoi scialle verbali (ma checcazzo ci faceva Oscarralfòne co 1 scialle verbale, quel checcazzo) addosso alle spalle ignude delle donne. Nel rimpiangere addirittura la mia mamma buttafuori. Sigh. Non credevo che l'avrei mai fatto.

Porcatroja (quelle televisive, intendo): arièccomi Apocalittico. Giuro che non volevo.


(*) ancora che ce credi.

sabato 1 novembre 2008

Sicuramente io vado all'Inferno.

È Halloween.
La gente, immagino, se la diverte.
Io invece, troppo in là cogli anni per trepidare x 1 festa troppo posticcia per le mie italiche radici, troppo segnato nell'immaginario dai fumetti dei Peanuts, ricordo troppo bene l'angoscia provata assieme a Linus Van Pelt mentre aspettavo con lui il Grande Cocomero. Halloween è Notte di paura. Di disillusioni. Di minacce, neanche troppo velate.
Quindi io lo celebro così.



Oh, non t'imbarazzare se ti capita di sopravvivermi e mi vedi la carcassa sul ciglio della strada. A me non disturba.
Se non ho 1 buon odore, prenditela col
Notàro.

martedì 9 settembre 2008

Penis 2.0

Uno sta davanti al computer suo, in camera sua, a cercare su internet le cose sue e niente, deve x forza sprecare risorse di sistema mentali per farsi girare in background nella capoccia un'applicazione che riconosce e cestina on fly lo spam che gli piove nella casella di posta elettronica. Raramente fallibile, quest'applicazione riconosce parole chiave come 'pills' o 'viagra' o 'casinò' e ti dà quel pruritino all'indice destro che vuol dire 'elimina'. Parole come 'penis'.

È incredibile come anche la sovrabbondanza d'informazioni possa generarti noia. Io penso che, di fronte all'offerta di qualche cm di penis da implementare al proprio, nessuno si girerebbe dall'altra parte, anzi si potrebbero registrare reazioni di entusiasmo selvaggio. Eh? non è vero? anche per te, no? Ah, beh. Ma quando quei cm di penis t'intasano puntualmente la mail, essi costituiscono solo una vaga nebbia attorno all'occupazione contingente, e sono da cestinarsi subito.

Il fatto è che probabilmente ste paroline chiave cercano di infilarle nelle smagliature dei filtri anti-spam diluendole con altre parole. All'inizio era enlarge your penis, poi increase your penis, da un po' upgrade your penis. Ma mi accorgo solo ora che chissà da quanto tempo mi suggeriscono: update your penis. Qui non posso evitare di chiedermi se mi sia perso qualcosa.

To upgrade mi pare voglia dire avanzare, oltrepassare: è fatto esplicito riferimento alle proprie misure, supposte obsolete da qualche cinico & spietato demotivazionista. Ma il verbo update significa 'aggiornare'. Diodiqualcùno, intorno a me ci si aggiorna il penis con versioni più recenti! Ecco come ti ritrovi quando trascuri la tua vita sociale. È uscito il nuovo modello di penis, e io non posso neanche lagnarmi di non essere stato avvisato per tempo. Eccole lì, nel cestino, le mail che mi partecipavano il lieto evento.

Ora, quando sul mercato esce un nuovo prodotto noi consumatori scaltri sappiamo che si deve aspettare che gli sviluppatori òdano dall'acquirente precipitoso i bug che esso ha, e provvedano a ripararli. Questo può richiedere tempi + o meno lunghi in un'economia in cui arrivare primi significa accaparrarsi clientela a scapito della qualità del prodotto stesso. Bene. Questo mi dà tempo.

Che devo fare? Dovrò innescare la solita Procedura di Acquisto del Bene Ignoto? Ovvero girare per forum in cerca di segnalazioni e/o lamentele, e poi per siti di e-commerce? Dovrò ordinare i vari modelli per prezzo? Ma varrà la pena risparmiare su un bene così primario e (si spera) dall'utilizzo così frequente, se non altro x urinare? Forse almeno per questa volta varrà la pena di usare la funzione ordina per popolarità, così brucerò i tempi e non correrò il rischio di trovarmi in difetto rispetto alla media. Sì, ma almeno in questo caso non sarà il caso di distinguermi dalla massa dei miei potenziali concorrenti nella scelta del penis ultimo tipo?

Poi, dalla bieca prospettiva commerciale, passo a una prospettiva forse più speculativa e quindi incosciente in questa situazione di frettolosità, ma di gran lunga più curiosa. Cosavrà di nuovo il fantomatico Penis 2.0, cosavrà? E soprattutto, cosa dovrebbe cosavrère?

Provo a pensare. L'Italia è terra di forti tradizioni nel Design, e i nostri Maestri bontà loro c'insegnano che è difficilissimo ripensare un design così antico e di uso tanto quotidiano. Si rischia di essere pleonastici, di rovistare nel pacchiano, di perdere di vista la funzione dell'oggetto. Ah certo, se fossi io a ridisegnare il Penis commetterei di certo l'errore di non badare all'estetica (sarebbe Estetica del Cazzo, scusa il batracofagismo, ma data la mia autolesionistica eterosessualità credo di non detenere alcun parametro di valutazione estetica, in materia). Sarei di certo un mero funzionalista.

Comunque, non sta a me cimentarmi nell'impresa. Anche perché le mail cestinate anzitempo ne denunziano il già avvenuto avvento. Ma quando mi s'innesca il processo creativo, mi s'innesca il processo creativo. Parliamo, da critici puri, della mera fruizione. Ecco di seguito alcune considerazioni.





Il comfort

Sarebbe una delle variabili più importanti nella scelta del prodotto penis, e anche tra le più complesse da valutare per chi sceglie. In generale, attorno al concetto di comfort esistono molti falsi miti e percezioni errate, come ad esempio l'idea che la lunghezza, la larghezza e i materiali usati siano determinanti. È evidente che al primo impatto e nell'utilizzo occasionale e di breve durata del penis questi aspetti possano avere un impatto positivo sulla percezione e sulle sensazioni di chi lo utilizza; non è detto però che sul lungo periodo il risultato sia lo stesso. Nel caso in cui si utilizzi il penis continuativamente e per lungo tempo altri fattori incidono in modo molto più importante, e l'eccessiva lunghezza e larghezza dell'oggetto può risultare controproducente perché ad esempio non permettono di scaricare correttamente il peso del corpo.



Forma e funzionalità

La possibilità di scostarsi dal bordo in ceramica e indirizzare il getto direttamente nello specchio d'acqua sottostante, ad esempio, influisce direttamente su una delle funzioni primarie del Penis, cioè una corretta minzione. Questo problema è direttamente connesso all'alzata della tavoletta, che rappresenta sicuramente il principale parametro da considerare. Se si consultano rapidamente le statistiche, si può osservare che nella maggior parte dei prodotti la superficie di affaccio del canale urinario è infinitamente più piccola di quella dell'ambiente esterno. Ciò provoca un disadattamento d'impedenza meccanica, e il conseguente verificarsi del fastidioso 'effetto pioggia'. Senza quindi alterare l'azione penetrativa del penis e nel rispetto delle forme vigenti, sarebbe auspicabile l'adozione di un diffusore a tromba quale adattatore d'impedenza meccanica, da applicarsi temporaneamente nel foro posto sulla parte terminale (il cosiddetto buco del pisello). L'aumento graduale della superficie d'interfaccia, con il raggio di curvatura tendente all'infinito tipico della strombatura esponenziale, accompagnerebbe il condotto ad una crescita graduale verso l'esterno, migliorando così l'efficienza nella trasmissione fluidodinamica.



Materiali e certificazioni

Per riuscire a coniugare le alternative e contrastanti esigenze di espandibilità e miniaturizzazione, è possibile e altresì consigliabile l'uso di prodotti naturali. L'eco-pelle o simil-pelle, per quanto più resistente della pelle naturale e lavabile in lavatrice (qualora completamente sfoderabile), e a fronte di un'esperienza tattile del tutto assimilabile, non è infatti ignifuga, laddove l'attrito dovuto allo sfregamento potrebbe dar luogo a processi aborigeni di combustione. Tutti i rivestimenti utilizzati, esterni e interni, dovrebbero essere identificati dalla dicitura “Classe 1”, obbligatoria anche per gli imbottiti di uso privato. La pelle inoltre subisce e 'registra' le aggressioni di agenti organici tipici dell'ovulazione e prodotti sintetici utilizzati normalmente per la lubrificazione, e se per alcuni questo fenomeno rappresenta un cruccio, per altri è uno degli aspetti positivi del materiale naturale: un materiale 'vivo' e mutevole, depositario della storia del prodotto e di chi lo utilizza.




Qualità e manutenzione

L'uso di un materiale rinnovabile quale la pelle naturale, oltre a rappresentare evidente garanzia di basso impatto ambientale, non limita le possibilità di durata del prodotto Penis 2,0 e della sue future release. Per una sua efficace manutenzione si consiglia di pulirlo regolarmente con una spazzola morbida o con un panno asciutto, evitando accuratamente uno strofinio troppo energico che potrebbe innescare erezioni indesiderate e non pertinenti. Quella della pelle è una scelta spesso 'permanente', che deve essere quindi necessariamente più ponderata. Non esiste a tutt'oggi una versione completamente sfoderabile, caratteristica spesso limitata alla parte terminale e non applicabile all'intera struttura. La sfoderabilità è richiesta spesso per motivi religiosi o igienici: garantisce minore esposizione della struttura a polvere e microorganismi, e quindi all'insorgere di allergie.




sabato 9 agosto 2008

Attenzione: sarà il ballo dell'estate.


Che forza, la prima canzone che metto su, con tanto di video, uau!
Speriamo che mi piaccia.





domenica 25 maggio 2008

La 'Cosa' finta.

Il tenero Vilipendio...
















... ti rimanda nell'ultima pagina.



Cavolo, non avrei mai pensato che inserire una 'Cosa' finta sul vecchio post Cose sarebbe stato così divertente. E proprio quella poi! Me la sto divertendo tipo come se avessi dormito x 1 settimana in un circo nel recinto degli elefanti sul loro stesso sterco, e poi uscendone e camminando in istràda sentissi attorno a me commenti quali “ma che è sta puzza?” e “mortacci ahò, lavàteve”. Certo, tra Caccheaddosso e G.Ferrara sono veramente ripetitivo. Quale brutta scoperta, la mia alla fine era una poetica in gran parte autoscatologica e G.Ferrarofila. E io che nella massima parte della mia vita mi sono sentito così sensibile & incompreso, sigh.

Ho capito di essere totalmente sprovvisto di puntualità nel 1993, quando dovetti sostenere lo scritto di Geometria I nell'ultimo appello dell'ultima sessione dell'AA vigente. Arrivai ¾ d'h dopo, su un monte ore totale pari a 2. La cosa in sé non sarebbe stata così drammatica, se:

numero 1) la mia preparazione in qualsiasi branca dello scibile umano (fatta salva tra le poche la noble art del Vilipendio alla religione) non fosse stata da sempre claudicante;

numero 2) se non avessi ufficialmente già sostenuto quell'esame nella sessione estiva presso la mia famiglia, che anche per i miei spesso mediocri risultati scolastici percepivo avida di riconoscimenti accademici. Ebbene sì: ero uno di quelli che dicevano a casa che faceva gli esami. Ma in genere quando millantavo esami poi mi mortificavo da me, attribuendomi voti mai sopra i 20 trentesimi. Che ti credi, sono sempre stato 1 tipo schietto & onesto (per i + rincoglioniti: sto cercando l'autoironia, evidentemente invano). Anche perché mi serviva per giustificare il mio umore non così allegro. Forse più che onesto dovevo dire sensato o leale, che poi secondo me tre le 2 cose non c'è molta differenza.

numero 3) se in quell'ultimo appello di quell'ultima sessione di quel cazzo di AA fossero riposte le mie residue speranze di ottenere l'ennesimo rinvio del militare. Ripeto, il buono del rinvio l'avevo già ufficialmente staccato a luglio, quindi comecazzo avrei potuto in quella fine d'ottobre tornare a casa bel bello e dire “Mammà, Papà: Vostro figlio Vi vuole bene e Vi ama ma è stato steccato in quella I delle Geometrie che sosteneva di aver sostenuto con esiti modesti sin dalla scorsa estate; ora però non c'è tempo per i rimproveri perché Noi si deve andare tutti quanti a comprare il giornale per vedere se vi siano guerre in corso cui partecipare, poiché questo Vs. figliolo ora partirà x il militare, Vi saluto Mammà, Vi saluto Papà” e via. Quel ritardo era uno dei più spettacolari drammi cui avessi mai preso parte e io, mentre affrontavo quegli esercizi nel poco tempo che m'ero rimasto, già mi configuravo a disciplinare mentalmente quello che sino ad allora mi era stata causa principale di biasimo tra amici, parenti e conoscenti: il ritardo fisico & mentale. E in divisa perdi+, perché chiaramente, diomadreonnipotente creatricedelcielo&dellaterra, chi aveva avuto modo di fare per tempo richiesta di servizio civile? Sempre, sempre in ritardo la mia vita, pranzi di Natale, feste di compleanno, appuntamenti con la pubertà, appuntamenti con chiunque, prove in salepròve circondate da musicisti furenti che aspettavano solo me e le chiavi che meco recavo. Ma adesso basta porcodìo: cambiavo. Quello sarebbe stato il trauma che propriocivoléva.

Invece, la mia meritata votazione quel giorno fu di 26 trentesimi. Avevo infatti studiato + che discretamente. Allo scritto me l'ero giocata anche nel poco tempo che avevo, e all'orale sapevo dimostrare più fluidamente di un cantore solista dello Zecchino d'Oro tutti queicazzo di teoremini +tosti e -tosti che terminavano nella chiosa molesta di onde l'asserto. Volendo alla fine ti facevo pure la giravolta.

Da allora maturai la seguente profonda convinzione. Era ormai evidente che nelle stelle in cui non avevo mai creduto (ma che comunque mi sembrano 1 po' + plausibili di una divinità e 1 po' – di B. Natale) era scritto che da allora in poi sarei stato Il Più Gran Ritardatario che la storia abbia mai annoverato [sono arrivato in ritardo anche alla mia I lezione di Acustica da insegnante nella scuola di musica in cui io e molti dei miei amici avevamo studiato per anni, che mi pareva (ed effettivamente quasi era) il non plus ultra del prestigio possibile]. Tanto poi un qualsivoglia miracolo, un qualchecazzo di Porcus ex machina mi avrebbe tratto d'impaccio coi suoi suini subdoli 26/30, salvandomi colle mie qualità del momento. I miei ritardi erano una sorta di compromesso storico: ascrìttimi nel DNA da qualche demiurgo burlone nelle volte in cui avrei potuto compensarli con cose tipo le mie filastrocche assertive di quella volta, si sarebbero autoridimensionati a solo qualche minuto, comunque fastidioso e provocante per tutti quelli coinvolti (compreso me, quanto soffro!), qualora fossi stato sprovvisto di adeguati mezzi.

Quindi niente, guido come un pazzo anche quando non sono in ritardo, sono sempre di corsa, mi faccio odiare e disprezzare e trattare di buon grado come minus habens dalle mie vittime poiché sono consapevole di meritarlo. Facendole in questo modo schiattare definitivamente, perché colle mie spietate autocritiche li privo del sacrosanto diritto-piacere di essere loro a umiliarmi. Mi sento sempre uno stronzo. Soffro dei miei ritardi come uno certo non s'immaginerebbe mai ma nel frattempo continuo impunemente a farne. Che gioia quando, 1 volta ogni circa 3 anni, qualcuno arriva più in ritardo di me! 2 mesi fa ho cazziato una mia classe perché arrivava sistematicamente tardi, e in effetti quella volta il primo di loro era arrivato dopo ¾ d'h su un totale di 2h di lezione (questo mi ricorda qualcosa, ehm). Bene, quel giorno mi sono scoperto un Vero Insegnante dal Polso Fermo da Vero Insegnante: gliò fatto a tutti quanti un discorso freddo e spietato come solo una vecchia professoressa d'inglese con relativo accento british saprebbe farti da sopra gli occhiali. Da quel giorno diohumusdellasuastessamerdosità sono arrivato tardi a quella stessa lezione per 6 settimane di fila.

Eppure ho la sensazione di essere simpatico lo stesso. Una simpatica canaglia. Al volante di 1 Panda (che poi ho scoperto che la collana Phaidon Design Classic del gruppo editoriale La Repubblica / L'Espresso che mi sto comprando ed è fichissima annovera il Panda, dico quello Fiat di vecchio tipo, come xl'appunto oggetto di Alto Design, e questo la dice lunga sul mio gusto raffinato visto che nella mia vita ne ho guidati 3 di cui 2 ancora al giorno d'oggi).

Solo che ci avrei una paura, a chiederne conferma quelle volte lì.


lunedì 10 marzo 2008

Il pozzetto dell'ascensore.










(Storia di brivido e di suspense – se sei debole di cuore, sii almeno forte di fegato)


Questa storia inizia così. Prima metà di settembre 1987, domenica mattina, il mio II liceo classico sta per iniziare e io sto per esordire inconsapevolmente in quello che sarà l'anno più nero della mia vita. Sono sempre stato 1 ciccione, ma finché ho potuto sopperivo con la simpatia e le battute, mi riuscivano bene. Ai ciccioni riescono spesso bene. Sono grasso. Non ciò più voglia di sopperire, basta sopperire, le ragazze ridono ma poi fiutano la mia inconcludenza, e spariscono con gli altri.
Questo dice la muta didascalia della vignetta che mi vede salire la salitella che mi porta a messa. Ma percorsi pochi passi ecco scoccare l'attimo perfetto, il cui ricordo ancora m'emoziona. “Ma perché devo andare a messa?” mi dico in un impeto di personalità, “sono un ciccione, sto affrontando il liceo con 2 paia di pantaloni, 1 felpa e un maglione di lana gialla tutto rigorosamente non di marca nell'epoca dei Paninari in un quartiere fighetto di Roma, la mia paghetta settimanale è sospesa da quando m'hanno beccato 2 anni fa col portafogli di papà nello zaino Invicta Jolly d'un verde militare che non s'è mai visto – regalo della comunione di mio fratello minore nonché unica concessione indebita alla moda del tempo - per comprarmi il gelato ed essere ancora più ciccione, non ho una ragazza – mi fa ridere solo constatarlo – né vedo come ce la potrei mai avere, ciccione, senza soldi e senza motorino, che le direi se ce l'avessi, 'pigliamo l'autobus a scrocco per fare non so cosa ma presto perché devo tornare a casa entro le 23 ringraziando il cielo che è sabato sennò manco potevo uscire', che cazzata la vita, sto in una situazione enorme per uno senza speranze come me. E sto andando a messa. Ma vaffanculo! Non ci vado. Io odio chi mi fa stare così. Voglio imparare a odiarlo come nessuno. Ora bestemmio.”, e assaporando ogni singola lettera di quella che sarà negli anni a venire la mia esclamazione di default nella buona & nella cattiva sorte, prima penso e poi dico muovendo le labbra a voce alta il mio primo “Porcoddùe”.
Altro che la prima bracciata indipendente nel mare del Circeo. Altro che i primi 10 metri in bicicletta senza le rotelle sul vialetto del mio giardino tra le montagne abbruzzesi. Questa mia prima volta nella vita sarà quella cui dovrò la maggiore libertà di pensiero. Il Vilipendio. Tutto torna. Da quel momento sarà la mia coscienza pur inizialmente atrofizzata a dettarmi indicazioni per il mio operato, e non il dogma delle lacrime di Gesù. Mi ripropongo di estinguere il mutuo dei 16 anni di fedele devozione (addirittura certi anni andavo a messa pure i venerdì a maggio, che era il Mese della Madonna, anche se in fin dei conti era più sul niente di speciale come tutti gli altri) con 16 anni di bestemmie. Addirittura in seguito mi sarei riproposto di dare una grande festa nel settembre in cui avrei compiuto 32 anni, iniziando così una gloriosa carriera da blasfemo miscredente senza più debiti formativi da pagare. Addirittura, addirittura (che è un po' come dire 'In verità, in verità vi dico', che si usa quando il fatto in questione è proprio importantissimo) adesso penso che appena supererò la pigrizia e mi sbattezzerò darò una festa di Sbattesimo in cui restituirò a tutti gli orologi al quarzo Tiqua che ti regalavano a ogni sacramento ricevuto. Ma un mio problema atavico è che delle splendide idee che mi vengono realizzo nulla o quasi.
Al primo bivio giro a destra, invece che a sinistra verso la chiesa. Inizia così un domenicale peregrinare pallido e assorto, col caldo o col freddo, col sole o colla pioggia a dirotto, che mi vede hassiduo abitué di circonvoluzioni nel quartiere col terrore di essere beccato da genitori e parenti o di essere notato da estranei mentre vago evidentemente senza una meta, cosa che ritengo essere motivo di profonda vergogna abituato come sono al dovere di dare spiegazioni agli adulti per qualsiasi mossa.
Così ogni domenica. “Ogni maledetta domenica”, quando sento citare quel film ancora m'immagino di esserne il reale protagonista. Se piove mi bagno, e non posso prendere troppa acqua. Sennò si capisce che non sono stato per lo più sotto a un riparo, in quell'ora maledetta. Bagnarsi un poco - perché in ogni caso nel tragitto di andata + ritorno un poco ci si bagna - ma con discrezione. I primi tempi alle volte cedo alla tentazione di cercare riparo nel posto più scontato, in chiesa per l'appunto, ma scopro cose nuove durante la funzione che prima non avevo mai notato. Quanto sono belli e ben curati e sorridenti e apparentemente felici i ragazzi che moltiplicano i loro Canti x Cristo, che bello dev'essere saper suonare la chitarra così forte davanti a tutti senza vergognarsi, io che studio controvoglia il pianoforte dalla terza elementare e non mi faccio mai sentire da nessuno (e ancora adesso quando posso suono in cuffia), saranno certamente tutti fidanzati fra loro. Oppure, quanto sono impellicciate le signore e allampadati gli uomini del mio quartiere, e come si guardano intorno mentre rispondono a voce alta alle invocazioni del celebrante. Scopro l'ipocrisia dentro quel posto un tempo sacro. Mi chiedo dove fosse stata per 16 anni. Mi chiedo dove per 16 anni fossi stato io. Certe volte quando si prega tutti insieme gioco a bestemmiare senza emergere dalla coltre di voci che mi sovrastano sfidando dio a punirmi, se ha il coraggio di uscire dal suo silenzio omertoso. Ma nonostante tutto, preferisco gli acquazzoni.
Dirai: ”Dov'è il brivido? Dove la suspense?”. Fin qui ne è pieno, almeno per me. Ma tra poco arriverà trionfante, per tutti i lettori dai gusti grandguignolèschi, la scatologia.
Fine inverno di qualche anno dopo. Fumo. Ho qualche vestitino in più perché lavoricchio, ripetizioni di matematica. Faccio l'università. Ingegneria elettronica. Certe volte ho l'impressione che, dopo il liceo classico fatto per lo più d'estate, sia ingegneria a farsi me, ma sono troppo pigro per trarne una conclusione. Ci vorrà ancora del tempo, la conclusione verrà tratta verso i 26 anni, ma nel frattempo ho 22 anni e faccio ancora sega a messa.
Sega a messa. Facevo sega a scuola regolarmente dal V ginnasio, fino ai picchi del II liceo quando saltavo oltre a ciascun lunedì (giorno in cui avevo troppe ore con l'essere inumano che più di ogni altro mi umiliò gratuitamente, la professoressa C.) un altro giorno della settimana liberamente configurabile. La mia vita era fare sega. Anche farmi seghe, e parecchie, perché ero sì dimagrito ma timido, e certo non aiutavano i primi sentori di una calvizie incipiente. All'epoca sono asciutto, muscolosetto, decisamente carino anche se non so di esserlo e nessuno me lo dice, porcatroia il tempo che ho buttato, e ho ancora qualche mese di integrità tricologica. Ma niente, questa breve intersezione di fisichetto capelluto non mi riguarda. Sono troppo preso, tra le altre cose, dal fare sega a messa.
Piove. Ho rimediato le chiavi della terrazza condominiale, il classico terrazzone dei palazzi anni'60 pieno di antenne arrugginite e dei lavatoi in disuso di prima dell'esplosione robografica degli elettrodomestici nelle famiglie italiane. Ma sono uscito di casa e le chiavi me le sono scordate e non posso certo tornare indietro, perché sono uscito quando la messa è già cominciata da 5-10 minuti e mia madre sa bene che se si arriva dopo la I lettura la messa non vale e bisogna tornarci l'ora dopo. “Non vale”. Che ficata, “non vale”.
Le alternative non ci sono, o meglio una ce n'è, e ciò già fatto ricorso altre volte. Non posso uscire in terrazza, arrampicarmi sul tetto e guardare il panorama o tirare fuori quei 2-3 giornaletti di donnenùde che ci ho lasciato acquattate, né posso uscire per strada perché davvero piove a dirotto, devo decidere in fretta e allora me ne starò per quaranta minuti sul pianerottolo del terrazzo, 1-metroquadro-1 con una finestrella senza vetro da cui entra tutto l'umido, il freddo e la grigia depressione che mi ha sempre dato la pioggia, e più in là IL POZZETTO DELL'ASCENSORE.
Quasi non mi andrebbe di parlarne adesso, per quegli scettici che avevano creduto di essersi imbattuti in una Pubblicità Progresso dell'Unione Atei Agnostici Razionalisti! Ma lo farò perché lo devo a chi mi ha dato fiducia finora, fosse anche solo uno che abbia condiviso in parte le mie esperienze silenziosamente protestanti, magari senza quella cosa del fare sega a messa per 8 anni.
E' incredibile quello che può fare un animale quando si annoia. I criceti corrono sulle loro ruote, il pappagallo che avevamo sgretolava col becco qualsiasi oggetto trovasse nella gabbia oppure tentava (e spesso riusciva) di evadere dalla stessa, facendosi beffe di qualsiasi serratura (se non si fosse già chiamato in altro modo avrebbe dovuto chiamarsi Houdini), prima di scappare definitivamente. Io nei primi 5 minuti credo di aver fatto tutto quello che si poteva fare, coi pochi elementi a disposizione. Cioè niente, una sbirciatina fuori dalla finestrella, un sussulto a un po' di rumori per le scale e l'orribile scoperta di avere in tasca il mio pacchetto da 10 di Chesterfield light ma senza accendino!, mitigata solo dalla paura che se fosse salita mia madre (paura del tutto infondata, a ripensarci adesso) avrebbe saputo di avere un figlio che oltre a far finta di andare a messa (e si sarebbe certamente suicidata, era questa la mia paura di 8 anni di messe segate) fumava, con l'aggravante del “di nascosto” (perché se uno fa sega a messa ti pare che dice ai genitori che fuma?). Allora faccio una scoperta.
Scopro che la porta del POZZETTO DELL'ASCENSORE ha la serratura praticamente divelta. Quello del pozzetto dell'ascensore (ora basta majuscole, che su internet non sta bene) è un luogo da sempre proibito ai bambini, quindi affascinante. Pure a 22 anni continua a esserlo, come lo è anche l'attraversare fuori dalle strisce, certe volte che ci fai caso. E io avevo sempre rimpianto di non esserci stato quella volta che mio padre da lì dentro aveva tirato su mia nonna imprigionata nell'ascensore fermo, poverina. Bene, qualcuno forse per un'emergenza doveva averla forzata, perché vedo che a farci un po' leva con la chiave tra porta e stipite si apre. E' meraviglioso, sono convinto ancor'oggi che se non fosse stato quello la mia noia avrebbe materializzato qualcosa di altrettanto interessante. Magari un varco tra appartamenti o un ripostiglio segreto o pistole o un forziere colmo di gemme dove parte l'arcobaleno, ma fra poco i segreti del pozzetto dell'ascensore mi si sarebbero dischiusi.
Quindi entro. E' buio, trovo l'interruttore.
Piccolissimo. Uno stanzino di 2m x 2 con un pozzo quadrato al centro protetto da un parapetto dove c'è per l'appunto il pozzetto dell'ascensore. Attorno, i 30 cm di larghezza di un sedile perimetrale fatto di mattoni intonacati. Che squallore. Il bambino che è in me (e ci resta) scopre quell'ennesima delusione, niente lucìne e servomeccanismi stile Guerre Stellari, solo polvere e una lampadina che penzola dal muro grezzo a illuminare fiocamente ragnatele cementose. L'ennesima delusione di un dio che nel frattempo continua inesorabile a essere celebrato dalla danza della pioggia dei suoi celebranti. Bah, almeno ho delle varianti, una ruota da criceto più evoluta. Il mio prossimo gioco è quello di svitare la lampadina, accendere l'interruttore e con lui provare ad accendere la mia sigaretta. Ci provo senza alcuna cognizione di come misteriosamente agisca la corrente elettrica, poiché i miei studi ingegneristici avevano come unico obiettivo la mera speculazione matematica, e dopo vani e timidi tentativi mi dico come l'uomo di Neanderthal prima dell'ultima mazzata Sapiente che E' bene essere prudenti. Non ero uno che amasse sperimentare. Ormai s'è capito che quando vedevo uno status quo ante mi ci ficcavo dentro con lo stesso ingenuo entusiasmo di Charlie Brown sul finto mucchio di foglie apparecchiato da Lucy van Pelt.
Poi succede.
Passi, passi dai piani inferiori. L'ascensore si muove. Che palle. E che paura. E' già successo, oggi e nel passato, è domenica, i parenti si riuniscono, ci sono gli inviti a pranzo, la gente esce per andare in chiesa veramente e poi rientra, qualsiasi rumore dell'ascensore da lì sopra viene chiaramente amplificato. Ma questi passi salgono, salgono. Non fa niente, c'è un'anziana coppia al quarto piano che ha figlio, nuora e nipotini al primo, potrebbero essere loro a chiamare l'ascensore e poi a decidere di salire comunque a piedi. Salgono. Secondo piano. Normale, adesso passeranno per il III, il mio, ed eccoli salire le ultime due rampe di scale per il quarto. Madonna, se qualcuno dovesse arrivare fin quassù, cosa direi? L'unica sarebbe sperare che non mi chiedano niente, quindi salutare senza dire niente e scendere. Ma è troppo presto per tornare a casa, la messa non è ancora finita, non posso dire che ho fatto una passeggiata e ci torno questo pomeriggio perché piove, piove a dirotto e allora dove sono stato fino adesso? Dire che ero arrivato tardi, ho seguito un po' ma ci torno all'orario pomeridiano perché mi sono reso conto che non valeva? Non riuscirei a mentire così spudoratamente, diventerei tutto rosso e mi farei schifo, e poi mia madre non ci casca, si è accorta che da un po' la messa non è più una mia iniziativa entusiastica e sarebbero domande. Ma basta! Chi dovrebbe mai salire fin qui? E' domenica, gli antennisti non lavorano, nessuno può desiderare di uscire sul terrazzo condominiale con la pioggia a dirotto, che cazzo! Smettila di avere paura, è irrazionale, adesso arrivano a quel cazzo di quarto piano e si sente aprire la porta e tu te ne stai qualche minuto a far sbollire il cuore e poi qualche minuto ancora e poi scendi e mangi e ti senti le partite e poi nel pomeriggio fai finta di studiare mentre fai di nascosto le formazioni della Fiorentina dell'anno prossimo sul quaderno.
Quarto piano.
Quinto piano, prima rampa.
L'uomo è un animale, lo è completamente, ne mantiene ancora gli istinti, per quanto diluiti nei suoi smog. Affrontare l'avventore. Mettersi spalle alla porta del terrazzo e fingere di esserne appena usciti. Ma non ho le chiavi, se me le chiedono non le ho. Quindi non è credibile. Rintanarsi nel pozzetto dell'ascensore, spegnere la luce, magari acquattarsi dietro il parapetto perimetrale. Se rimani in campo scoperto puoi scappare ma puoi anche non farcela, se decidi di provare a nasconderti puoi passare inosservato ma puoi anche essere scoperto, e allora è finita, è vergogna esponenziale.
Quinto piano, seconda rampa.
Decidi. Decidi, decidi, DECIDI! Dentro, non foss'altro che per rimandare il contatto. Luce spenta porta accostata fuori luce dentro buio io posso vedere chi sta fuori no. Acquattarsi? Troppo. Se qualcuno entra muore d'infarto, e io non mi ripiglio più dalla vergogna di aver compiuto un'azione pessima come l'omicidio. Ma non entrerà mai, mai! dio, perché dovrebbe entrare? nessuno è intrappolato, è domenica cristo, domenica! e riparazioni i tecnici non ne vengono a fare la domenica, no! Lo so, è sicuramente la mamma del coglione più sfigato della Terra, l'unico ciccione interiore che possa avere questi problemi. Io!
Passi sul pianerottolo. 1 metro x 1. Sono dentro.
La luce si accende. Sono, indovinate un po', i nipotini. 12 e 7 anni o qualcosa del genere. Molto, molto meno spaventati di quanto avrei immaginato. Sussultano, sì, ma poi è il maggiore a sentirsi in dovere di giustificarsi, io sono il grande, anche se fossero a conoscenza dell'elenco completo delle mie fughe dalle responsabilità non oserebbero mai contestare quello che ai loro occhi è evidentemente il mio primato di adulto. “L. voleva vedere cosa c'era quissù, l'ho accompagnato...”
Sorrido di quell'innocente elegante dignitosissimo scaricabarile sul fratellino piccolo dal sedile su cui senza accorgermene mi sono seduto negli attimi della colluttazione. Piego il capo nella mimesi di un “sì” e mi esce strozzato dalla gola un “he!” gutturale che mi risuona nelle orecchie stupefatte per tutto il successivo quarto d'ora, dal momento in cui li lascio graziosamente uscire così com'erano entrati (“Spengo la luce?” “Occhèi”) al momento in cui finalmente scatta l'ora in cui posso tornare a casa (“Già sei tornato? ma che è già finita? è presto...” “Sì ho corso perché pioveva” e via, senza assecondare passivamente come mio solito l'interrogatorio, tanto sono turbato).
Nella semiotica dello scureggiare in pubblico c'è una dinamica, sempre la stessa. Lo scureggiante è sicuro della propria superiorità intellettuale sul branco degli scureggiati. Lo dico per esperienza perché nella mia più che decennale serie di trasferte musicanti uno di noi nel furgone scureggiava di nascosto (credeva lui) regolarmente. Sempre lo stesso, il più grande. 35enne, credeva che noi 25-30enni piccolini non ce ne saremmo accorti coi nostri nasi imberbi, o che non ce ne sarebbe importato granché. Ma puzzava, ah, se puzzava. Lo Scureggiatore Senza Nome, lo chiamavamo. La stessa dinamica può verificarsi se lo scureggiante è il papà coi figli, o un maschietto dominante in un'allegra comitiva di adolescenti.
Io ero lo scureggiante, loro gli scureggiati. Mi preoccupavo più per quello che sarebbe potuto succedere che per quello che era successo. Dieci anni di differenza erano troppo in quella fascia d'età. Certo, negli anni a venire vedendo quegli ex-bambini che salivano sulle loro macchine sportive con le loro fidanzate bellissime quando io rientravo a casa da mamma & papà su un Panda vecchio e non mio, un brivido mi saliva lungo la schiena... 'e se ricordassero'?
Ma no, no, 'non se ne saranno accorti'. O 'non glie ne sarà importato granché'. Delle mie vecchie scuregge. Ma c'è una parte di me che ha i brividi quando pensa alle motivazioni che quei ragazzotti ex-poveribambini avranno immaginato per il mio comportamento. Stranezze da grande? o da pericoloso maniaco psicopatico? Ci penso ogni tanto, impaurito e affascinato dal mio stesso pensiero, come lepre di notte davanti agli abbaglianti.

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