lunedì 29 luglio 2013

(venti)Sei personaggi in cerca di Ammore.





















Nella mia vita interminabile ne ho viste, di cose normali.
Non ci credi? strano. Sei sempre incline a credere alle cose più pazze, poi ti stupisci di affermazioni lineari come questa. A differenza di me, che non credo mai in niente e dico sempre la verità. Tranne quando mi sbaglio, o decido di dirti una bugia.

Comunque, per non perdere tempo, meglio che io ti sottoponga subito un elenco ordinato di prove. Tu sai quanto io abbia il pallino degli elenchi ordinati e del controllo delle cose in generale. Ma non divagare.



Alpha vuole un compagno perché a breve sull'orologio biologico le suona l'allarme;

Bravo vuole una compagna perché sennò si mbarazza quando i colleghi parlano dei figli al distributore dei caffè;

Charlie la vuole perché rischia oramai di non far conoscere ai nonni i loro nipotini;

Delta lo vorrebbe per essere al centro delle totali attenzioni di qualcuno;


Echo perché ha paura di essere guardata dai parenti a natale come una zitella;

Foxtrot perché non ce la fa più a fare le cose senza condividerle;

Golf perché ha immani carenze di affetto;


Hotel perché a mangiare da solo al ristorante si vergogna;

India perché ha bisogno che qualcuno la ccompagni in macchina dove deve andare;

Juliet vedrebbe in un compagno una scorciatRoia per avere una posizione;


Kilo perché alla sua età non sa più con chi fare le vacanze;

Lima perché, dopo un disastroso rapporto col genitore dell'atro sesso, spera di avere una seconda opportunità;

Mike perché non saprebbe da chi farsi soccorrere da vecchio, in caso di rottura del femore nella vasca da bagno;

November perché deve poter chiedere a qualcuno quale vestito mettersi stasera;

Oscar perché spera di essere compreso fino in fondo da qualcuna;

Papa perché ciò è normale, semplicemente;

Quebec perché è troppo grande per dividere l'affitto con un altro maschietto;

Romeo vuole proprio lei per sentirsi un grande conquistador;


Sierra per vincere definitivamente la propria guerra con la suocera;

Tango perché non può più guardare da solo neanche una cosa ripetitiva come il tramonto, senza sentirsi male;

Uniform perché non sa lavare né stirare né pulire né cucinare;


Victor perché non ha mai sperimentato interessi propri;

Whiskey per sentirsi necessario a qualcuno;

X-ray per poter avere una condotta sessuale eticamente accettabile;

Yankee perché anacerta bisogna pur ritrovarsi in un rapporto stabile;

Zulu per provare l'emozione di essere sopportati da qualcuno.



Fai caso a come ciascun personaggio non brami mai il bene altrui, quanto piuttosto il proprio.

Eppure, per identificarsi i sentimenti in società, continua a usare l'idea platonica di Ammore. Vuoi per sintesi, vuoi per buona educazione. Questo Ammore poi dovrebbe essere una cosa disinteressata, tipo 'Preferirei perdere un braccio piuttosto che farti soffrire' ecc. Come so queste cose? Perché io sono parte di quell'alfabeto fonetico, o lo sono stato o lo sarò; e perché la parte restante è arrivata alle mie orecchie, ai miei sensi e alle mie sperienze.

 

D'altronde, anche il bravo Dinobuzzati lo disse, mentre in uno dei suoi ultimi libri aspettava la morte imminente. Dinobuzzati, sì, proprio lui. Quello che tu confondi sempre con il suo sosia Paolostoppa.
È bellissimo, Dinobuzzati. Non per un libro in particolare, non me ne ricordo nessuno particolarmente bello. Però vale la pena di essere letto tutto quanto, se in mezzo ci trovi una favoletta semplice e breve come questa:



La ragazza innamorata soffriva tanto, che perfino il demonio se ne impietosì. Andò da lei e le promise l'amato. A una sola condizione: che mai, mai , per tutta la vita, neppure con una semplice carezza, con un semplice pensiero, lei lo tradisse; pena, la morte sua, di lui e dei figli. Singhiozzando, fu costretta a rinunciare.



Uhm. Dovrei farci una canzone.
Ci andrebbe bene la cassa in quarti.

venerdì 12 luglio 2013

Puntualità.

Viviamo in tempi disordinati. Compriamo razzi difettosi, per difenderci da nemici pericolosi al punto di essere invisibili. Pubblichiamo sulle nostre sigarette elettroniche le aberranti foto di chip bruciati o di fusibili rotti, per dissuaderci dal suggerne surrogati poco tossici.

Ordine e disciplina” è spressione dagli echi sinistri, negli mmaginari comuni. Ma questo talvolta è un punto di vista riduttivo. Se io voglio imparare a giocare a scacchi, ho bisogno di apprendere un sistema di regole che mi permetta di esprimermi le strategie. Devo sapere al più presto che, se necessario, il cavallo scavalca gli altri pezzi, com'è opportuno per un animale come lui, e lo fa trotterellando a “elle”. Non potrò pretendere di arroccare una regina coi suoi pedoni, poiché prerogativa rigidamente monarchica. Le regole ha senso infrangerle una volta note, per tentare di produrre qualcosa di originale e purtuttavia valido.

La struttura, vincolandoti, ti dà gli spazi per esprimerti. Lungi dall'essere castrante, questo meccanismo è invece ricco di stimoli. Specie quando le tue strutture sei capace di creartele da te.

Ordine e disciplina” è poi mprescindibile quando, per esprimerti, decidi di avvalerti di codici condivisi.
Decifrare un codice, noto o ignoto, è un'impresa che non tenterei mai, se perfino quel rissoso, irascibile, carissimo Umbertoeco nei suoi saggi sterminati spesso non fa altro che sterminarmi l'entusiasmo con cui tento di approcciargli le semiotiche.
Più modestamente cercherò di riferirti quello che, più che lo studio, l'esperienza di osservazione più che di vita (tanto per cambiare) mi ha insegnato sull'interpunzione.

Se tu ti articoli i diti sulla tastiera alfanumerica, non puoi confondere i Duepunti col Punto&virgola, che è l'errore più noto. O il Trattino colla Barra. Se lo fai, improvvisi in una neolingua più orwelliana dell'originale, che invece di espanderti i confini e le possibilità, ti relega nel detto male, nel non espresso, nel poco chiaro. Impoverisci la mente tua e del tuo interlocutore, e alimenti l'inquinamento e il degrado mentale, intaccandomi l'ecosistema pezzo per pezzo; irrimediabilmente. Eccoti quindi un bugiardino, di cui leggere attentamente le avvertenze e le modalità d'uso, per guidarti a un uso più puntuale delle scelte interpuntuali. Partiamo dall'inizio.



Il Punto (“.”)

Non è una faccina. Non cominciare. Sai bene quanto m'innervosisci, quando tiri fuori chiavi dalle tue serrature cabalistiche. Le virgolette servivano a creare un'oasi semiotica in un flusso semantico precedente e sequenziale.

Il Punto è unico nella sua essenza geometricamente adimensionale. Anche una modica Virgola (v. prossimo paragrafo) ha estensioni lineari e superficiali (quando addirittura spaziali, nel suo spessore tipografico) non trascurabili.

Eppure, in qualsivoglia sintassi, è il Punto a detenere il massimo potere conclusivo. Esso chiude ogni discorso, lasciando a te la scelta se farlo in modo temporaneo o definitivo. Usa un mezzo potenzialmente devastante come il “Punto” sempre con la massima sapevolezza.



La Virgola (“,”)

La virgola serve a respirare. Il cantante e lo strumentista accorto la utilizzano come apice tra le note, per deciderne il fraseggio. Melodie pure azzeccate diventano soffocanti, se non inframezzate da virgole opportune. Se troppe, causeranno fenomeni di iperventilazione, e conseguenti svenimenti.



I Due punti (“:”)

A che pro, incastonarti due punti in verticale nei discorsi? per ejaculare una conclusione da un onanismo verbale precedente. Ciò che segue ai Due punti chiosa, riassume, conferma. Oppure nega, sorprende, stupisce. Ma sempre, ciò che lascia eruttare è l'effetto di quanto precedentemente costruito.
Non avvalertene, se stai per dire cose avulse dal contesto.



Il Punto&Virgola (“;”)

Fra i segni interpuntuali più simpatici. La perentorietà del Punto, stemperata dallo scivolo lessicale della Virgola. Quando ne fai uso, inchiodi su un acceleratore che, con la sua energia cinetica, rinculerà il lettore sulla conclusione successiva. Scegli di offrire nel discorso una pausa veloce alle macchinette del caffè, da cui non si può che uscirne rinfrescati, e mentalmente più attenti. Pronti per cogliere proficuamente il frutto del lavoro precedente.
Non a caso, nelle faccine degl'imbecilli, esso semioticamente vale l'ammicco di un “occhietto”.



Il Punto interrogativo (“?”)

Non dubitare mai del dubbio. Esso è foriero di ogni certezza futura.
Non rafforzarlo soprattutto, copiancollandolo in una ripetizione selvaggia. Non esistono domande, o richieste, vaste al punto da meritarla, poiché sono tutte tendenti all'infinito. Sortiresti piuttosto l'effetto contrario: la banalizzazione. Come quando leggi “Professionale” su un attrezzo che palesemente non lo è. Anzi: la dicitura “Professionale” ne decreterà di norma il contrario.
Molto bello il Punto interrogativo inverso (“¿”), di uso spagnolo. Anche in musica una tensione va preparata, anticipandola e lasciandola fuoriuscire in fade-in da una precedente consonanza.



Il Punto esclamativo (“!”)

In un discorso scritto non va mai usato. Denota quasi sempre arroganza, quando non addirittura insicurezza sui contenuti esposti. Un uso singolo è ammissibile solo per colorare di ronia la proposizione. Va invece benissimo nella narrazione, nel fumetto, o in ogni caso di sospensione dalla realtà, che infatti favorisce. Anche qui, copiaincollaggi selvaggi e rovesciamenti ispanici provocano le stesse, diversissime, sensazioni esposte nel paragrafo precedente.



I Puntini di sospensione (“...”)

Non ce n'è alcun bisogno. Mai.
Un loro utilizzo denota vigliaccheria dialettica. Come a dire, Potrei dire, ma per delicatezza o superiorità non dico. O anche: I miei contenuti sono traboccanti, te ne lascio solo intuire la portata poi basta perché sennò rimarresti devastato dal mio spessore. Non ti dico, però; e non dicendo non ti do modo di soppesarlo, questo mio spessore presunto e dunque presuntuoso. Il che immediatamente ne rende il fruitore figlio di Troia per niente archeologica.
Mai sospendere. Tenere aperto, se necessario; oppure chiudere. Buoni per ambientazioni esclusivamente favolistiche. Un loro utilizzo da te effettuato, assieme ai copiaincollaggi precedenti (interrogativi e sclamativi), è il trucco più veloce per svanirmi dalla considerazione.



Le Virgolette

Sintomo inequivocabile di definizione, citazione o discorso diretto. Disegnamone in aria il meno possibile, se non vogliamo restare catturati in un ruolo di scimmia imitatrice di chissà quale comico televisivo antesignano.
Scolastiche sono quelle Basse (“<< >>”), d'uso comune i doppi apici (“ “” ”), indicanti spesso un flusso di pensieri in contesti narrativi quelli singoli (“ ' ' ”).


Le Parentesi

Con la loro presenza, ti ricordano che al mondo vi sono infiniti livelli possibili. Che individuano una dinamica altrettanto infinita. Tu puoi prestare attenzione a quello da cui vieni e a cui tornerai, mentre loro ti hanno appena aperto una botola sotto i piè.
Permettono una funzione di supervisione del testo presso il lettore.
Possono essere tonde (“()”), quadre (“[]”) o graffe (“{}”), e acquisire vari gradi di priorità in contesti meramente matematici. In quelli narrativi, la presenza delle quadre indica rimozioni testuali, qualora racchiuda puntini di sospensione nel loro unico uso giustificabile.



Il Trattino (“-”)

Trae dal suo contesto aritmetico una valenza sottrattiva, richiamando a sé l'attenzione dal contesto precedente. Ha una funzione parentetica meno sospensiva delle Parentesi. Chiede esplicitamente la tua attenzione, senza distoglierti pienamente. In quanto tale, è un ammicco appena meno appagante del Punto&Virgola. Alle volte ti permette, se lo vuoi, di sillabare.


La Barra (“/”)

Anche qui, come nel Trattino, importiamo un significante aritmetico per rendere l'idea di divisione tra termini o concetti. Equivale per l'appunto alla congiunzione “o”, “oppure”. Costituisce disgiunzione inclusiva (in latino vel, XOR in algebra booleana), a differenza del trattino (aut e OR negli stessi contesti) che disgiunge più esclusivo, più radical, più chic.



Quindi non dire che non ti ho avvertito. Apprezzami il lavoro fatto, che per quanto modico è notevole quando ne sia autore un pigro. Ora, se a me ti vuoi rivolgere, accetta almeno l'uso che dei segni d'interpunzione io ti propongo. Non farmi respirare convulso, con il tuo virgolare forsennato o assente. Non pretendermi reazioni emotive, coi tuoi perentori esclamativi o interrogativi insulsi.

Oppure ammetti che io, sui tuoi modi e la tua indole, mi faccia delle idee conseguenti e mie.

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